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P. Sciamanna, Congo - P. Raschietti, Brasile - P. Viviano, Filippine

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"Il pozzo" di p. Sciamanna, missionario in Congo

Dove andiamo noi saveriani ad attingere acqua? Abbiamo un nostro pozzo? Penso di no. Perché tutto ciò che il fondatore ci dice non è che un rimandarci a Gesù e al vangelo. Il Conforti è per noi come Giovanni Battista: ci indica la strada per andare a Gesù. Non ha voluto fare di noi i suoi discepoli, ma i discepoli di Gesù.

D'altra parte, il Conforti ci ha insegnato un metodo suo per essere autentici discepoli di Gesù: il carisma saveriano, caratterizzato dal vedere in tutti e in tutto il Cristo e dalla missione tra i non cristiani. In questo senso, possiamo dire che c'è un pozzo saveriano, ma dobbiamo subito aggiungere che questo pozzo è in diretta comunicazione con il pozzo di Gesù - il pozzo della Samaritana -, e che l'acqua che beviamo scaturisce dallo Spirito di Gesù.

Il Conforti non si è mai sognato di avere un pozzo con acqua propria. Come ogni santo, egli ci incoraggia a tornare a Gesù e al suo vangelo. Per essere missionari autentici, oggi come sempre, non c'è altra strada che pentare bravi discepoli di Gesù, per manifestare con le opere e con le parole il volto di Gesù e il volto del Padre.

p. Mario Sciamanna, sx.


P. Raschietti ci parla della Conferenza di Aparecida, in Brasile

Noi saveriani, missionari in Brasile, abbiamo seguito abbastanza da vicino la Conferenza dei vescovi dell'America latina e Caraibi, nel santuario Aparecida, anche se i mezzi di comunicazione non hanno dedicato molto spazio all'evento e ai contenuti. Alcuni miei articoli sono stati pubblicati in un libro "Pelos caminhos da America". Abbiamo anche pubblicato varie notizie e informazioni nel nostro sito web, ma sono tutte in lingua portoghese.

Parlando con qualcuno che è stato là e ha partecipato, pare che il clima della Conferenza sia stato sereno e cordiale, e non si siano manifestate posizioni contrastanti. Il documento di base non è stato scritto dai vescovi, ma da esperti appartenenti ai vari movimenti ecclesiali. Perciò, leggendo il documento, si percepisce un cambio di visione teologica e pastorale: non si parte dalla realtà umana, ma dall'incontro con Cristo. Il discepolato è presentato come "catechesi" e la missione come un "ritorno alla chiesa". Qua e là, ci sono riferimenti anche alle comunità di base, all'opzione per i poveri, al metodo vedere-giudicare-agire.

Avremo bisogno di fare uno sforzo notevole per interpretare il documento e tradurlo in un linguaggio adatto alle nostre comunità cristiane e poterlo utilizzare nell'azione pastorale. Lo studieremo e staremo attenti a vedere i primi commenti.

p. Stefano Raschietti, sx


Padre Viviano da Manila: ai giovani non basta l'orecchino...

Personalmente sono convinto che la gente non ci chiede di essere dei geni, ma di essere capaci di accompagnarla a incontrare Gesù. La gente trova noi missionari aperti e accoglienti, ma non sempre trova in noi il tesoro che desidera trovare. Questo vale anche per le vocazioni. È vero che i giovani spesso si lasciano attrarre da cose esteriori, ma poi vogliono trovare cose sostanziose. Non è indossando un orecchino, o tingendosi una ciocca di capelli, o abusando del cellulare e di internet... che noi ci rendiamo credibili agli occhi dei giovani. Al contrario.

Se chi mi cerca, almeno qualche volta, si sente rispondere, "Mi dispiace; padre Rocco al momento non è disponibile, perché sta pregando, o è impegnato a fare direzione spirituale, o sta facendo un ritiro spirituale...

Per favore, può chiamare più tardi?" - allora la gente e anche i giovani capirebbero che hanno a che fare con missionari veri!

La vera nostra missione non può essere centrata sull'io, ma su Dio.



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