Le peripezie di un rifugiato
Nato 27 anni fa in Zambia, Ibrahim Savaneh rimase orfano della madre all’età di due anni. Il papà lo affidò a un’amica della madre, perché se ne prendesse cura. Ma, a cinque anni, Ibrahim perse anche il padre. Protetto dallo zio, lo sfruttava come garzone. I rapporti divennero sempre più difficili man mano che cresceva e si rendeva conto della situazione.
Dall’Egitto ai saveriani di Lama
Le liti continue peggiorarono sempre di più le relazioni, in particolare quando Ibrahim rivendicò la sua eredità. Suo padre, infatti, era benestante. Ma lo zio rifiutò di riconoscere i suoi diritti. Le cose precipitarono in seguito alla morte dello zio. Accusato d’esserne stato la causa, Ibrahim dovette fuggire.
Giunto in Egitto, lo accolse una famiglia cristiana. Da lì si preparò alla traversata insieme ad altri profughi verso l’Italia, con uno di quei barconi tanto noti alle notizie quotidiane. Sbarcato ad Agrigento nel 2014, fu destinato a Taranto.
Un gruppo di parrocchiani, d’accordo con don Mimino, parroco di Lama, si prese cura di lui. Per un periodo di tempo, fu affidato a noi. Ibrahim ha alloggiato presso i saveriani per oltre un anno. Si prestava ad accudire il giardino e ad aiutarci. Ma aveva anche il tempo di frequentare la vita cittadina e di farsi degli amici.
L’appartamento da inaugurare
Così è stato fino a quando il Tribunale del Rifugiato, studiando il suo caso, non lo dichiarò soggetto da espellere, in quanto non aveva più i requisiti del rifugiato. Intanto Ibrahim, conosciuto come un ragazzo serio, aveva trovato lavoro in un albergo di Talsano. Il contratto di lavoro indeterminato gli ha dato il diritto di restare in Italia.
Finalmente “libero”, ha affittato un appartamentino e ha voluto festeggiare la sua nuova sistemazione, invitando tutti coloro che lo hanno aiutato. Tra questi c’eravamo anche noi.
Ibrahim, come Abramo, ha lasciato la sua patria e ha trovato la “Terra Promessa”. Ha scoperto che tante persone buone gli hanno preparato questa strada.