Brasile: Le comunità di suor Chiara
Nella prima metà degli anni ’80, suor Chiara Ameglio, una religiosa calabrese della "fraternità sant'Elisabetta d'Ungheria", accetta con entusiasmo la proposta dei cappuccini di Assisi di andare in Amazzonia, malgrado il clima creasse qualche problema di salute. Da Manaus, lungo il Rio Negro o sulle acque melmose del Solomoes, Chiara si inoltra per giorni e giorni di navigazione su fragili imbarcazioni. Deve raggiungere le comunità disposte ai bordi della foresta amazzonica: Barcelos, Moura, Tabatinga, san Paolo di Olivença…
Una malattia tifoidea la costringe a riparare a Itabuna, nello stato di Bahia, dove il clima è decisamente meno aggressivo. A Itabuna, suor Chiara scopre la triste realtà dei bambini di strada. Nella favela un formicaio umano si aggira fra le baracche, erette abusivamente ai bordi della discarica della città. I bambini, incuranti del nauseabondo odore che esala da quell’ammasso di rifiuti, si disputano avanzi di cibo o raccolgono rottami, lamiere e cartoni che utilizzano per coprire i loro tuguri.
Qui è nata la nuova vocazione missionaria di suor Chiara.
Con la tenacia che la contraddistingue, ha fatto suo l’impegno di strappare alla strada i bambini abbandonati a se stessi. Dopo 25 anni, è ancora lì, con i suoi 16 centri di accoglienza che sostiene attraverso l’associazione "pro meninos de rua", con le adozioni a distanza.
"Il nostro angelo azzurro", così la chiamano, anche se di azzurro fisicamente non ha niente. Ma "angelo" lo è, per i tanti bambini sottratti ai pericoli della strada, alla fame, all’abbandono. "Io non ho fatto niente", si schermisce suor Chiara quando sente parole di lode. "Chi ha fatto tutto è stato il buon Dio, che suscita in tante anime generose il desiderio di aiutare questi nostri fratelli".
I centri sociali, le case d’accoglienza, le strutture sanitarie sono state costruite grazie alla solidarietà di tanti benefattori.
Grazie a loro, migliaia di bambini mangiano, ricevono l’istruzione e vengono avviati a un'attività professionale.