“Caro dom Franco, ti scrivo...”
Il vescovo Masserdotti, uomo libero
Padre Diego Pelizzari, saveriano bergamasco, ha scritto una lettera al “suo” vescovo, mons. Franco Masserdotti, comboniano di Brescia, morto in Brasile il 17 settembre in un incidente stradale.
Un abbraccio, caro “dom Franco”. Ti chiamavamo così, qui in Brasile. “Dom” vuol dire monsignore, ma senza quel senso di distanza che, a volte, in Italia il “monsignore” pone a chi lo pronuncia (e magari, anche a chi lo riceve). Un abbraccio, sì, come quelli che davi tu a tutti e a tutte, ben stretto, e che faceva sentire nel cuore l’affetto che ponevi in quel gesto così semplice ma vero.
Domande senza risposta
Ho pensato di scriverti, ora che non sei più con noi. Ti ho scritto tante volte e tu mi hai sempre risposto. Ti scrivo perché non so cosa pensare, cosa fare... E poi, non saprei scrivere su di te, parlare di te.
Come tante persone, anch’io mi chiedo perché? Perché proprio tu? Perché non io al tuo posto? E a chi rivolgo questo quesito, questa inquietudine? Al Padreterno no di certo. Lui non c’entra con la tua morte. Ma questo “perché” non esce dalla mente. Se incontrassi qualcuno al quale porre questa mia disperata domanda, non otterrei risposta. Perché risposte non ce ne sono.
Innanzitutto, ti ringrazio per avermi teso la mano quando ero nel bisogno. Sorridente, mi hai invitato nella tua diocesi. “Lavorerai nel Cimi; vivrai in foresta con gli awá, come tu desideri”. E così è stato. Se non fosse stato per te, forse avrei dovuto lasciare gli indio. Non immagini quanta felicità ha provocato in me quella tua mano tesa! Con il Cimi del Maranhão e con gli awá ho trascorso cinque anni belli della mia vita. Te ne sarò riconoscente per sempre.
Voglio dirti una cosa...
Di te adesso diranno tante cose, tutte importanti, giuste, belle, sincere, meritate. Io te ne voglio dire solo una: eri un uomo libero perché amavi la verità. Eri così appassionato della vita missionaria che te lo si leggeva sul volto prima ancora che aprissi bocca. Anche quando ti ho visto preoccupato, non ci privavi del tuo sorriso, di una pacca sulle spalle, di un abbraccio fraterno e sincero.
Perseguivi sempre la verità, a volte dialogando, altre entrando a viso aperto nella mischia e “dando il nome ai buoi”. Probabilmente la libertà ti ha reso forte e dolce allo stesso tempo. Forse era questa “libertà nella verità” che ti sosteneva nella tua nascosta ma profonda sofferenza.
Ricordo quella tua espressione quando io, deluso e sofferente, ti chiesi di pregare per me e di fare qualcosa! E tu, candidamente, mi dicesti: “Prega il Signore degli abissi, perché ti tenga su le p...!”. Potevi permetterti di scherzare, tu, anche con nostro Signore.
Sempre sui pedali
Nel 2003, il giorno dopo Pasqua, da Riachão eri tornato in bici a Balsas perché, dicevi, avevi mangiato troppo! Sull’imbrunire, tornando con la Toyota, ci siamo fermati a chiedere alla polizia, sul ciglio della strada, se avevano visto il vescovo passare in bici. Non ti dico la faccia che hanno fatto i poliziotti! Andavi in bici anche di notte, senza timore, perché eri libero. Cosa facevi quando andavi in bici? Cantavi? Dicevi il rosario? Preparavi le prediche o i tuoi mille interventi in giro per il mondo? Osservavi il bel paesaggio del Maranhão e la gente che fa la fame e chiede elemosina lungo la strada? Solo Dio lo sa...
Noi sappiamo che amavi i poveri; amavi la tua gente, quella che incontravi tutti i giorni, nonostante i tuoi mille impegni. Lo sappiamo, perché ti abbiamo visto. Certamente è per questo che i politici della tua regione non ti amavano, anzi...
Grazie per averci indicato il cammino della “libertà”. Sei stato e sarai sempre uno di noi, caro dom Franco.