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In missione per la terza volta

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A settant’anni c’è ancora da fare

Oggi in Italia si discute tanto sull’innalzamento del limite d’età per andare in pensione. Prima erano 60 anni, poi 65, in futuro potrebbero essere di più, perché - si dice - la vita si è allungata e si sta meglio. Non voglio entrare nel merito della discussione, ma vi propongo il pensiero di un missionario settantenne che ha chiesto e ottenuto dai superiori di poter tornare per la terza volta in missione. Il suo nome è d’origine longobarda: Arduino. Il cognome è il più diffuso in Italia: Rossi. Molti di voi lo conoscono già.

Ringrazio p. Arduino per la sua testimonianza e gli assicuriamo il nostro ricordo nella preghiera.

  • p. Leonardo Raffaini, sx.

A giorni lascerò il mio bel paese, l’Italia. Sono contento che anche all’età di settant’anni mi sia concessa ancora la possibilità e la gioia di fidarmi di Dio, lasciando che sia proprio lui a condurre i miei passi, a essere la fonte della mia gioia, la mia sicurezza, la mia terra, la mia eredità.

Parto con tanti “perché”...

È soltanto la fede e l’amore per Cristo, per la sua chiesa e per il popolo bengalese, che mi spinge a ripartire per la missione. Ritengo un privilegio poter raccontare alla gente del Bangladesh la bella e gioiosa esperienza di fede e di speranza che ho vissuto per dieci anni in Sardegna.

Parto perché voglio condividere con tanti altri ciò che Dio mi ha donato. Parto perché credo che la vita è vera se è donata. Parto perché Dio ha chiamato me, e nessuno può andare al mio posto. Parto perché voglio amare con la vita e non con le parole. Parto perché la mia solidarietà con il povero è l’unico mezzo per rendere credibile la bontà e l’amore di Dio all’uomo di oggi. Parto perché la mia ricchezza culturale, religiosa e sociale, non è stata data solo a me, ma a tutti. Parto perché la mia e la loro gioia sia piena. Parto perché voi mi mandate e Cristo è con me.

Dio mi dà fiducia e coraggio

Ho già vissuto in Bangladesh per 24 anni, in tempi molto difficili come il periodo dell’indipendenza, con conflitti tra musulmani e indù, o i momenti di grandi cataclismi e inondazioni. Ma l’amore e l’affetto che ho per questo numeroso e sfortunato popolo bengalese, mi danno coraggio e fiducia in Dio. Egli non abbandona mai nessuno e certamente mi aiuterà a superare ogni prova.

Anche in giovane età, non ho mai avuto la pretesa di fare cose grandi. Mi sono messo accanto alla gente come un fratello che ha avuto tutto dalla vita. Ho condiviso con loro questo patrimonio avuto in dono dal buon Dio, con la prospettiva di rendere più serena e ricca di speranza la vita di coloro che ho incontrato sul mio cammino.

Lascerò ai più giovani le responsabilità di correre, visitare e prestare aiuto nei villaggi più lontani. Io mi limiterò a seguire spiritualmente e pastoralmente le comunità cristiane che mi saranno affidate.

Desiderio da non spegnere

Dalle ultime notizie apprese dai saveriani e da amici bengalesi, sembra che in Bangladesh ci sia stato progresso nel settore edilizio e che il numero dei poveri sia più controllato. Ma lo sfruttamento dei minori rimane ancora il grosso problema. Le ultime statistiche dicono che la mortalità infantile è ancora molto alta. La situazione politica è perennemente incerta. La povertà, per la maggior parte della popolazione, è a livello di fame.

Per i missionari in Italia auspico che il desiderio di tornare in missione non abbia mai a spegnersi. Agli amici e conoscenti lascio un augurio: “ogni battezzato è un autentico missionario nel momento in cui vive la sua realtà quotidiana e cristiana, annunciando a tutti - non solo a parole, ma con la vita - che Dio Padre ci vuole bene”.



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