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Brasile: Un pane per la fame di tutti

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MARCELO E GIRLANE, Sposi brasiliani, discepoli e missionari.

"Quando il tuo battello, ancorato da molto tempo nel porto, ti lascerà l’impressione ingannatrice di essere una casa; quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo, prendi il largo...".

Devono aver letto questi versi di Hélder Câmara, Marcelo Machado e Girlane Silveira, quando hanno incontrato suor Chiara e hanno deciso di prendere il largo. Nati a Itabuna, cresciuti loro stessi dove il degrado sociale si tocca con mano, davanti a tanta povertà non possono far finta di niente. Da vari anni collaborano con suor Chiara nei vari centri di accoglienza, facendosi loro stessi promotori di iniziative, per strappare i bambini dalla strada, cioè strapparli dalla fame, dall’ignoranza, dalla micro criminalità.

Un Cristo a braccia aperte

"La terra è un enorme piatto di riso, un pane immenso per la fame di tutti", mi ripete Marcelo, persona squisita e saggia, con spiccato senso della giustizia. Girlane, la giovane moglie, è l’espressione vivente della felicità che ha nel cuore. Aiuta il marito a seguire le opere che man mano nascono in favore dei piccoli. Un lavoro discreto e silenzioso, ma svolto con determinazione e amore.

Stanno mettendo in pratica di parole di Hélder Câmara: "Il vero sviluppo del Brasile non verrà dalle compagnie multinazionali, né dal fondo monetario internazionale, né dalle grandi potenze… Ho fiducia nei piccoli e nei deboli, che si uniscono in movimenti non violenti…; piccoli gruppi senza potere, che si mettono d’accordo per affermare - senza odio, senza violenza, senza codardia - che bisogna arrivare a condizioni più giuste e umane nelle relazioni tra paesi ricchi e paesi poveri".

Sono loro ospite da qualche giorno, e mi sembra di esserci stato da sempre, come in famiglia. Con loro vado a visitare il centro comunitario "Santa Chiara", affidato alla direzione di Marcelo e Girlane. Raggiungiamo il bairro Banco da Vitória, lungo la strada che porta a Jlheus. Mi indicano la casa, costruita sulla collina, con un Cristo a braccia aperte, come a voler abbracciare il mondo. Lasciamo la provinciale e ci inoltriamo per una strada che porta alla favela di Banco da Vitória.

Le promesse... elettorali

La solita scena: case fatiscenti, rattoppate con materiali di fortuna; alcune costruite con mattoni di fango sostenuti da pali di legno ai quattro angoli. Anche qui i bambini sono padroni della strada: vanno e vengono, giocano e salutano al nostro passaggio. Le donne, con l’immancabile bambino in braccio, osservano dalle porte i nostri movimenti.

Ci fermiamo in uno slargo in attesa che arrivi una Chevrolette 4x4, che ci porta su per l’ultimo tratto, impraticabile alle auto normali. Osservo con discrezione un giovane che rovista tra i rifiuti; cerca avanzi di cibo, che difende da ratti e urubù (avvoltoi), numerosi da queste parti, pronti ad avventurarsi sulla preda.

Saliamo sul pianale del fuoristrada, utilizzato solitamente per il trasporto di merci. Iniziamo il viaggio al limite dell’impossibile. Lentamente si arrampica sulla strada rotta da profondi solchi, scavati dagli acquazzoni. Prima delle elezioni il sindaco di Jlheus aveva promesso che avrebbe sistemato il manto stradale. Si è sempre in attesa. La foresta è invadente e finirebbe per chiudere la strada se i frequenti passaggi non la mantenessero nei limiti. Le capanne fanno pensare a un villaggio turistico, se non nascondessero una realtà di miseria.

L’abraço apertado dei bambini brasiliani

Arriviamo finalmente, con il cuore in gola, a un terrazzato. Da lì scendiamo a piedi verso il centro. Piante di banane e arbusti ombreggiano la casa: un paesaggio incantevole, con il fiume Cocheira che disegna il suo corso sinuoso in mezzo alla foresta. Ad accoglierci, in una sala polivalente, 80 piccoli visetti che vanno dal colore olivastro al nero più autentico. Ci danno il benvenuto con i canti e poi ci offrono l’abraço apertado, l'abbraccio stretto dei brasiliani. È il loro "grazie". Scende qualche lacrima sui nostri volti. Bambini che cercano il tuo sguardo, un gesto di attenzione e di affetto, non possono lasciare indifferenti.

Marcelo e Girlane si dedicano a quest'opera per fede - che è poi amore -, con l’unica speranza di alleviare la condizione di povertà in cui versano questi piccoli. "Qui, spiega Marcelo, i ragazzi della favela ricevono l’istruzione e viene loro garantito un pasto al giorno, con la merenda. Tante sono le richieste di bambini, ma non c’è posto per tutti. Stiamo pensando di allargare il centro con altri due blocchi, dove poter accogliere altri bambini che premono alla nostra porta". C'è già il progetto fatto da un simpatico ingegnere svizzero che, dopo aver lasciato la bella Lugano, vive da alcuni anni a Jlheus. Confidiamo nella generosità degli amici italiani - conclude Marcelo - che non è mai mancata".

Un sorriso e un po' d'imbarazzo

Nel trambusto, due ragazzi mi vengono vicino. Uno mi chiede a bruciapelo: "Você è rico?". Non so cosa rispondere... "Você tiene dinheiro?", insiste. Certamente io sono ricco, di fronte alla loro povertà. Ho la macchina fotografica e mi sono fatto prestare anche una cinepresa... Me la sono cavata con un sorriso e con un po’ di imbarazzo.

Ricordo bene la versione del "Padre nostro" di Pedro Casaldaliga: "Fratelli nostri, che vivete nel primo mondo: affinché il suo nome non venga ingiuriato, affinché venga il suo regno, e sia fatta la sua volontà, non solo in cielo, ma anche in terra, rispettate il nostro pane quotidiano, rinunciando, voi, allo sfruttamento quotidiano".



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