SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI, QUINTO GIORNO
QUINTO GIORNO
Cantare il canto del Signore in terra straniera
Letture
Salmo 137 (136), 1-4 Laggiù, dopo averci deportato, ci invitavano a cantare; esigevano canti di gioia i nostri oppressori. Cantate – dicevano – un canto di Sion
Luca 23, 27-31 Donne di Gerusalemme, non piangete per me. Piangete piuttosto per voi e per i vostri figli
Commento
Il lamento del salmista si origina nell’esilio di Giuda in Babilonia, tuttavia, quello dell’esilio è un dolore che si ripercuote nel tempo e sulla cultura. Forse il salmista intendeva gridare al cielo questa sua sofferenza; forse ogni verso è sgorgato tra disperati singhiozzi di dolore; forse questo poema è nato dalla forzosa rassegnazione che può sperimentare solo chi vive nell’ingiustizia e nell’impotenza di poter cambiare la propria condizione. In qualunque modo sia stato originato, il dolore di questo verso trova risonanza nei cuori di coloro che sono trattati come estranei in terra di esilio o nella loro stessa terra.
Il salmo descrive la richiesta esigente dell’oppressore che i deportati sorridano e facciano festa, cantino i canti di un passato “felice”. È una richiesta che, nel corso della storia, le persone emarginate si sono spesso sentite rivolgere: che si trattasse di spettacoli di attori truccati (minstrel), o di danze di geisha19, o di cowboy del selvaggio West e spettacoli di indiani20, gli oppressori hanno spesso chiesto che le persone oppresse si esibissero gioiosamente per garantire la propria sopravvivenza. Il loro messaggio è tanto semplice quanto crudele: le tue canzoni, le tue cerimonie, la tua identità culturale, ciò che ti rende sacrosantamente unico, è consentito solo nella misura in cui serve a noi.
In questo salmo generazioni di oppressi riconoscono la loro voce. Come potremmo cantare il canto del Signore quando siamo stranieri nella nostra terra? Possiamo, perché non cantiamo per i nostri oppressori, ma per lodare Dio. Cantiamo perché non siamo soli, perché Dio non ci ha mai abbandonati. Cantiamo perché siamo circondati da una nube di testimoni che ci incoraggiano a cantare canti di speranza, canti di libertà, canti di liberazione, canti di una patria dove un popolo ritrova sé stesso.
Unità dei cristiani
Il Vangelo di Luca narra che molta gente, tra cui molte donne, seguono Gesù anche mentre porta la sua croce al Calvario. Questa sequela è fiducioso discepolato e Gesù ricompensa le fatiche e le sofferenze che dovranno subire nel portare fedelmente la propria croce. Grazie al movimento ecumenico, i cristiani di oggi condividono inni, preghiere, riflessioni e approfondimenti di varie tradizioni. Li riceviamo gli uni dagli altri come doni scaturiti dalla fede e dal discepolato amorevole, spesso segnato da sofferenze, di cristiani di comunità diverse dalla nostra. Questi doni condivisi sono ricchezze di cui fare tesoro per testimoniare la fede cristiana che ci accomuna.
Chiediamoci…
Come possiamo rievocare le storie passate di coloro che hanno vissuto in mezzo a noi e hanno cantato canti di fede, di speranza e di liberazione dalla prigionia?
Preghiera
Dio degli oppressi,
apri i nostri occhi affinché vediamo il male che continua ad essere inflitto
alle nostre sorelle e ai nostri fratelli in Cristo.
Fa’ che il tuo Spirito ci dia il coraggio di cantare all’unisono,
e di levare la nostra voce in favore di coloro la cui sofferenza è inascoltata.
Te lo chiediamo nel nome di Gesù.
Amen.