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ANIMAZIONE MISSIONARIA E VOCAZIONALE ATTRAVERSO IL VOLONTARIATO

Tanti anni fa, ero dell'idea che le esperienze in missione, quelle di breve durata, fatte dai giovani che sono attratti dall'idea della missione e della scoperta di nuove realtà, fosse solo una perdita di tempo. Insomma un'esperienza inutile per i giovani e un peso per i save­riani che dovevano dedicare del tempo per loro. Nell'ambito dell'animazione missionaria e vocazionale, stando a contatto con i giovani che hanno avuto modo di fare questo tipo di esperienza, mi sono reso conto invece di quanto utile e arricchente questa esperienza fosse.

Utile per il loro cammino di fede, per l'impegno nelle loro parrocchie, per la consapevolez­za delle diversità presenti nel mondo e per lo stimolo a cercare nuovi stili di vita, sobri, semplici e fraterni e in alcuni casi anche utili per il proprio discernimento vocazionale. Almeno per quanto riguarda gli italiani, gli ultimi entrati nella nostra congregazione, per quanto siano pochi, vengono tutti da un'esperienza di missione. Nell'ambito delle valutazioni delle esperienze in missione, già alcuni anni fa, tra gli animatori, stimolati dai giovani, era nata la discussione sulla possibilità di offrire ai giovani esperienze più prolungate, di mesi e perché no anche di un anno.

Le difficoltà, alcuni ostacoli, alcune domande, perplessità, paure, inconvenienti ci hanno sempre bloccato, tanto da non sbilanciarci mai in una vera e propria riflessione che andasse effettivamente incontro anche alle necessità e alle richieste dei giovani stessi. Mi trovo ormai da un anno in Thailandia, la nostra ultima missione, in senso crono­logico, ovviamente. La nostra prima preoccupazione è quella di imparare la lingua, di stu­diare questa nuova cultura e di cercare di capire come fare i primi passi. Con gli altri padri, nel cammino di discernimento che stiamo facendo, alcune volte è capitato di condividere le nostre impressioni sul volontariato, sulla presenza dei laici nelle nostre missioni, sull'apertu­ra al mondo del laicato, sulle sfide della dimensione attuale che ci richiede di aprirci ai vari componenti della missione, di non rimanere chiusi in noi stessi e nei soli nostri progetti senza considerare altri elementi, fattori e aspetti importanti.

Se all'inizio, tante erano le nostre perplessità e titubanze nei confronti della presenza di laici, provenienti dall'Italia e da altre parti del mondo, qui in Thailandia, ora, dopo un anno di incontri e condivisioni, la perplessità e i dubbi stanno lasciando spazio a possibilismo e interesse. È stato soprattutto l'incontro con la realtà del volontariato organizzato dal MEP (Missions étrangères de Paris) e anche altre piccole realtà di esperienze in missione qui in Thailandia che ci ha portato (a me ed altri padri qui in Thailandia) a riflettere anche su un nostro possibile modo di organizzarci, come saveriani, nell'ambito delle esperienze in missione.

Parto con alcuni dati, anche se i numeri e le statistiche non penso che siano l'aspetto più importante.

Dal MEP, piccola realtà, rispetto alla nostra congregazione (attualmente noi siamo il doppio), ogni anno partano dalla Francia circa 150 volontari che vanno nelle varie missioni, nei paesi dove i padri sono presenti. Solo in Thailandia, ogni anno ci sono 15-20 volontari. In questi ultimi anni, da queste esperienze in missione 2 ragazze sono diventate suore e 30 giovani ragazzi sono in formazione per diventare sacerdoti MEP. Sono tante le domande che affiorano alla nostra mente quando pensiamo all'e­sperienze in missione, come: chi può partire? Quali sono i criteri per mandare i giovani? Quale tipo di formazione viene loro data? Cosa fanno effettivamente in mis­sione? Come fanno a vivere un anno fuori dal loro paese? Chi paga il loro biglietto? Etc... Cercherò di mettere per iscritto quanto sono venuto a sapere dell'incontro con padre Nicolas, uno dei padri del MEP che segue i giovani che sono destinati alla Thailandia.

I criteri:
  • Il primo e più importante criterio è il cammino di fede. I giovani che chiedono di fare un'esperienza in missione sono giovani impegnati in parrocchia, costan­ti nel loro cammino di fede personale e comunitario. Per avere certezza di questo, viene chiesta anche la presentazione e la domanda da parte del loro rispettivo parroco. Anche se i giovani non conoscono i padri del MEP e non hanno mai sentito parlare di loro, proprio in virtù del loro cammino di fede hanno la possibilità di intraprendere un'esperienza con loro. Oggi più che mai, ci rendiamo conto che questo criterio è il più importante ed è quello che può permettere di vivere un'effettiva esperienza missionaria aldilà dell'impegno stesso e dell'attività che il giovane è chiamato a svolgere.
  • Una settimana di formazione con i padri. Prima della partenza in missione, il giovane che ha fatto la richiesta di partire è invitato a vivere una settimana in una casa dei padri per la preparazione alla partenza. Questa settimana rappresenta il primo di tanti momenti (gli altri in missione e poi al rientro) di formazione che servono per conoscere il carisma della congregazione, alcuni elementi fonda­mentali della missione e aspetti utili e pratici del paese dove il giovane andrà.
  • Durata: almeno 6 mesi, fino ad 1 e anche 2 anni.
  • Posto di missione. Questo forse rappresenta uno degli aspetti più critici. Dove vivrà il giovane che parte in missione? Il giovane che non è un religioso o un prete non è obbligato a vivere in comunità e per forza con uno dei padri. Nella mis­sione, il padre che è incaricato, sceglierà posti ( centri, scuole, parrocchie,....) dove il giovane possa avere la possibilità di stare a contatto con la gente e svolgere delle attività. Anche una delle parrocchie, scuole, centri, case dei padri può diventare il suo punto di appoggio. Certo, per noi saveriani, rispetto ai padri del MEP, la vita comunitaria non è optional, ma fondamentale, per cui, si potrebbe pensare ad una forma che permetta al giovane anche di fare esperienza della vita comunitaria.
  • Formazione in missione. Se è importante la settimana di preparazione prima della partenza, altrettanto importante è la formazione durante il periodo speso in missione, attraverso ritiri, confronti personali e comunitari e almeno di due settimane di formazione.
  • Presenza in missione. La domande che nasce spontanea è "ma che cosa vanno a fare in missione? Ma questi giovani sono effettivamente capaci di fare missione?
In sintesi, vi riporto quanto i padri del MEP mi hanno detto. Tre sono gli elementi importanti.
  1. Testimonianza di fede cristiana. La partecipazione alla Messa, alla preghiera e alla vita di fede con la comunità cristiana, piccola o grande che sia, è il primo e più importante aspetto dell'esperienza in missione.
  2. Vicinanza con la gente. Accanto alla testimonianza di fede, al giovane viene chiesto di stare a contatto con la gente con semplicità, cercando di adattarsi alla vita della gente più semplice, attraverso la sobrietà, il cibo locale e cercando di evitare comodità che a volte creano barriere e diversità tra lui e la gente locale.
  3. Impegno concreto. Ogni missione ha diverse esigenze e sfide e quindi anche le attività saranno diversificate in base al posto. Qui, in Thailandia, ci sono molte scuole e centri gestiti da cattolici dove c'è una grande richiesta di insegnanti di inglese. Vari dei giovani che vengono insegnano inglese, ma altri sono presenti in centri con bambini, giovani o in attività legati alle sviluppo sociale o nell'ambito della promozione umana o semplicemente nelle parrocchie. La conoscenza della lingua del posto, sappiamo quanto sia importante, ma per un'esperienza di un anno, non è fondamentale, o almeno non rappresenta un grande ostacolo. Ogni missione, cercherà di fornire almeno delle basi perché il giovane posso sbrigarsela per la vita quotidiana. Se in Thailandia, dove oggettivamente la lingua è difficile, i giovani riescono a sormontare questo ostacolo, altrove questo dovrebbe essere ancora più semplice. Se i padri del MEP, che, ripeto, rispetto a noi sono una piccola realtà, hanno dei buoni risultati, perché non possiamo anche noi tentare qualche cosa del genere? So che faccia­mo già tanto con i nostri giovani, con i laici saveriani, con le saveriane, ma perché non provare ad osare qualche cosa di più grande a partire dall'Italia, dalla Spagna, dall'Inghil­terra e da altri paesi dove stiamo facendo animazione missionaria e vocazionale? Sono consapevole del fatto che tutto questo richieda tempo e energie da investire, ma perché non tentare questa nuova via? Certo, l'invito non è quello di copiare il progetto già portato avanti ad altri, ma quello di lasciarci ispirare da altri, per realizzare qualche cosa di nostro per il bene della missione e perché no, anche per il futuro della nostra congregazione.
Prima di concludere, mi piacerebbe sottolineare alcune ultime considerazioni:
  • Il volontariato è un campo anche di discernimento vocazionale.
  • Dalla Direzione Generale deve partire lo stimolo e anche l'appoggio per un progetto del genere che non riguarda solo una regione, ma tutte le nostre regioni, quelli che inviano e quelle che ricevono i giovani.
  • Non mettiamo le difficoltà avanti: globalizzazione, " i giovani non sono buoni", "non è vera missione", "è una perdita di tempo". Accanto a questo tipo di esperienza con i giovani ce ne sono altre, come quelle con gli adul­ti, le giovani famiglie, i sacerdoti, ma ogni esperienza merita una propria riflessione. Grazie e buona missione.

ALEX BRAI - Thailandia, maggio 2014.



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