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In omnibus Christus

In omnibus Christus
Un commento alla visione cristologica di San Guido Maria Conforti

1.         Tutti conosciamo la frase di Conforti: “Io guardavo Lui, e Lui guardava me, e pareva mi dicesse tante cose”. E quanto diceva più tardi: “Da Lui, che ha versato sino all’ultima stilla il suo sangue per l’umano riscatto, imparate a sacrificarvi per i fratelli”.

A coronamento di questa esperienza, Mons. Conforti darà alla sua Famiglia Missionaria il motto: “Caritas Christi urget nos”, “ci sprona la carità di Cristo”.

Quale insegnamento si rivela in questa esperienza, che abbraccia tutta una vita? Quale rilevanza può avere per noi oggi?

2.         Molto spesso si parla di Gesù collocandolo nell’orizzonte di Dio. Da Dio a Gesù. Ma facendo così non ci accorgiamo di un grande rischio. Rischiamo di ‘misurare’ Gesù usando una idea di Dio che viene da noi.

Così noi alla fine conosciamo già di Dio e Gesù più di quanto lui ci insegna di sé e del Padre. Siamo noi a dire a Gesù chi lui è.

Siamo noi i suoi maestri, non i suoi discepoli.

3.         Nel Buddhismo si insegna che tutto è illusione. Si tace però prudentemente su un dettaglio: il maestro. Quello è l’assoluto, che il discepolo non metterà mai in discussione.

Anche noi come cristiani dobbiamo accettare ed essere orgogliosi di essere discepoli del nostro maestro, e continuamente imparare da lui.

Tanto più che lui ha detto: “Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli”. Adesso, in questo tempo intermedio dopo, o meglio nella sua risurrezione, sembriamo tutti un doposcuola, dove si fa ripetizione della lezione; perché il maestro non c’è, non fa scuola.

Ma se venisse lui, io smetterei di parlare, lascerei a lui di continuare, nella speranza di non essere smentito.

Qui è la differenza: lui è davvero vivo e presente, lui davvero fa, desidera fare scuola; ha solo bisogno che gli lasciamo lo spazio che è suo. Come fare?

4.         Stare e camminare alla Presenza del Signore Vivente richiede solo il volerlo fare. Occorre di continuo rinnovare l’atto di scoprire che Lui è con noi, e scegliere di stare con Lui, offrendo a Lui quello che passa per la nostra attenzione. In questo modo Lui vive in noi. E per quanto riguarda il suo vivere tra noi?

Lui ha dettato un metodo: occorre riunirsi nel suo nome. Riunirsi nel suo nome significa vivere insieme, “riuniti”, il suo comandamento, l’amore reciproco fino a donarsi la vita. La vita della nostra vita è il nostro rapporto con Dio.

Vivendo la carità reciproca, ricca di mille colori e sfumature, e, al più alto livello, condividendo la nostra vita spirituale, noi in qualche modo perdiamo noi stessi, donando tutto il meglio che abbiamo, e in questo spazio si fa reale, viva e attiva, la sua Presenza.

Prima era già certo presente, ma in qualche modo come oscurata dalla falsamente nostra e veramente inutile progettualità.

La Chiesa diventa così come una candela su cui splende la fiamma, e questa fa luce. Diversamente, è come una candela spenta.

5.         Che cosa illumina? Tutto. Lui fa vedere come può essere il mondo nuovo. Ma questo argomento è troppo vasto. Ci fermiamo a considerare un po’ più a fondo il significato della Sua Presenza. Occorre partire un po’ da lontano.

6.         Nel conoscere è sempre presente l’atto di colui che conosce. Questo atto permea della sua intenzionalità gli oggetti che tocca. Se si dimentica questo, ci si perde cercando una conoscenza vera dove invece c’è solo la volontà di qualcuno di possedere, controllare altri.

            Se cogliamo la Sua Presenza, sentiamo anche che la Sua intenzione, il Suo Amore ci avvolge, come avvolge tutto l’universo. Egli ha posto se stesso ovunque: “riempie di sé pienamente tutte le cose”. E questa è la verità di tutto: delle cose, delle persone, degli avvenimenti: il suo rivelarsi in esse. “Per cui – dice Paolo – ora noi non conosciamo più nessuno” al modo vecchio, secondo altre intenzioni, “secondo la carne”. Conosciamo invece tutto dentro il Suo atto, secondo che la Sua intenzionalità si rivela in esso. Questa è la verità divina delle cose, ed è un programma, un correre verso la divinizzazione. L’Amor che muove il sole e l’altre stelle.

7.         Questa è una cristologia d’attacco, missionaria. Dobbiamo innanzitutto renderci conto che se viviamo così, la nostra semplice presenza in un luogo, la nostra intenzionalità fatta una con quella di Cristo, santifica quel luogo, quel rapporto, quelle persone. Per loro è come essere concepite. Nessuno può impedire a noi di farlo, come gli embrioni non possono opporsi all’esser fatti vivere. Cristo già riempie di sé pienamente quella realtà. Si tratterà poi di passare di pienezza in pienezza, così come il feto, già pienamente essere umano, passa di perfezione in perfezione, fino a quando giunge a poter vivere da solo – comincia ad amare – e giunge a riconoscere il padre e la madre – crede in Cristo.

Fare missione è, al suo cuore, l’arte di far innamorare di un altro, disponendo sapientemente le occasioni e sapendo scomparire così che l’amore di un’anima per Cristo sbocci spontaneo.

“L’amico dello Sposo si riempie di gioia alla voce dello Sposo”.

p. Fabrizio Tosolini sx.

 


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Pubblicato
20 Agosto 2017
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