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Un parroco si interroga: Quale missione nell'Italia Europea?

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Don Paolo Boschini, minacciato dalla mafia modenese, è parroco e docente di filosofia e antropologia a Modena. Ha affrontato il tema, "Quale missione oggi nell'Italia che si apre all'Europa? Un parroco s'interroga a partire dalla missione di Gesù di Nazaret". La sintesi che pubblichiamo non è stata rivista dall'autore.

Gesù ha annunciato il regno di Dio usando un linguaggio narrativo, costruito per lo più con metafore e parabole, che sono dinamiche. Il suo linguaggio racconta di eventi imprevisti, paradossi, contro-sensi; eppure sono tutti eventi legati al mondo della vita quotidiana. Vuole che i suoi interlocutori si aprano al Dio nascosto nelle pieghe dell'esistenza e decidano di consegnarsi a lui e di ospitarlo nelle loro relazioni di ogni giorno.

Gesù parla di Dio parlando dell'uomo. Se parla dell'uomo che verrà, è perché gli interessa moltissimo l'uomo che c'è già. In particolare, Gesù si mostra attento a chi vive in condizioni di bisogno e di esclusione: i piccoli, i prediletti di Dio. La sua immagine dell'uomo è sempre sotto il segno del limite, inteso non solo come carenza, peccato, miseria; ma inteso soprattutto come condizione itinerante, luogo d'incontro con l'altro e dell'agire condiviso. Insomma, per Gesù il limite dell'uomo non è un problema, ma la sua più grande risorsa, perché nel volto di ogni creatura egli vede lo sguardo benevolo del Creatore - Padre.

Il senso evangelico della crisi

Gesù è un profeta scomodissimo. È un uomo della crisi. E annuncia: si può attingere alla fonte della vita, che fa nuove tutte le cose, solo passando attraverso la porta stretta. La crisi non è la disfatta di questo mondo, ma la via d'uscita dalle molteplici schiavitù, in cui gli uomini vivono inermi e spesso senza rendersene conto.

Per lui il dopo è già presente attraverso segni sconcertanti: indicano la strada di un cambiamento possibile, già iniziato lungo sentieri umili e poco appariscenti. Il mondo dopo-crisi lo si può solo immaginare. E quindi per dirlo bisogna usare immagini ardite e segni provocanti. Gesù invita i suoi discepoli a fare altrettanto e li autorizza a modificare le immagini coniate da lui stesso e a offrire segni, per rendere sempre attuale e comprensibile l'annuncio del cambiamento radicale. C'è il vangelo della crisi e dell'esodo da essa, che ogni comunità di discepoli deve scrivere e riscrivere continuamente, perché tutto è compiuto, ma non tutto è ancora compreso, comunicato e realizzato.

Che paese siamo

Siamo un Paese disilluso e passivamente indignato, in cui dominano la rabbia e il risentimento. Ma leggendo più in profondità le nostre rabbie e paure, si scoprono due atteggiamenti contrastanti. Da una parte, ci troviamo davanti alla "crisi della socialità moderna", caratterizzata da una profonda erosione della fiducia negli altri e dall'incapacità di produrre un pensiero comune degno di questo nome.

Dall'altra parte, avanza un modello che io chiamo "laboratorio di socialità", con il moltiplicarsi dei movimenti dal basso impegnati a costruire nuove forme di socialità. Si sviluppano metodologie di apprendimento cooperativo, che producono un sapere aperto, plurale, in continuo arricchimento.

Perché il pluralismo diventi la nostra principale risorsa, occorre potenziare i luoghi in cui esso si può esprimere. Il metodo da utilizzare è quello della "mediazione". Prevede che le differenti visioni della realtà possano fondersi su punti specifici, senza che le più forti assorbano le più deboli, né le marginalizzino. Nelle aree che si creano dalla fusione di più orizzonti, ogni cultura ospita e viene ospitata: tutti siamo inventori, operatori, ricettori.

Il riconoscimento reciproco prevede che ogni parte abbia sempre qualcosa di significativo da dire, da dare e da imparare. La mia proposta è di far cominciare tutto dalle ragioni del cuore e quindi di parlare il linguaggio universale della compassione.

Quale missione della chiesa oggi?

Che cosa la fede cristiana e le comunità locali cattoliche possono dire, dare e imparare in questa fase della nostra storia italiana ed europea? Non vi offro risposte - che comunque non ho - ma solo piste di ricerca. Gesù non distingueva tra società civile e comunità religiosa: le sue immagini erano parole rivolte a tutti. Anch'io vorrei riflettere sull'Italia senza fare un discorso per quelli dentro (la chiesa) e un altro per quelli fuori (il paese); ma usando il metodo conciliare di Gaudium et Spes: siamo cristiani nel mondo, non di fianco o sopra il mondo.

Il linguaggio della compassione. Noi cattolici abbiamo tutti gli strumenti per tornare a parlare il linguaggio di Gesù: metaforico, coinvolgente e paradossale. La crisi che stiamo attraversando può ridarci il coraggio di riprendere quel processo di rinnovamento nella comunicazione della fede che abbiamo interrotto per un eccesso di timidezza.

Scelgo le metafore della compassione e dell'ospitalità. In un tempo di crisi della ragione comune, il linguaggio cristiano della compassione è quello più universale e più concreto, anche perché è un linguaggio della cura e si dirige da cuore a cuore. È la lingua del mondo nuovo, cominciato ogni qualvolta un samaritano carica sul proprio giumento colui che giace ai margini della strada.

S'impara a dare compassione solo quando questa compassione la si riceve. È perciò una lingua riservata a chi accetta l'esperienza del proprio limite. Richiede apertura mentale, elasticità etica, ospitalità in casa propria, capacità di lavorare in équipe e di valorizzare le idee altrui.

Un progetto cooperativo. Oggi il bene non si diffonde da solo. Perché il bene possa diffondersi e diventare segno, il bene occorre farlo bene. Ogni micro realizzazione di bene deve prevedere altri progetti che essa può suscitare o con cui può intrecciarsi. Il regno di Dio è fatto per discepoli capaci di guidare l'aratro, cioè di guardare avanti senza ripensamenti (Lc 9,62), avendo chiaro che cosa si sta facendo e dove si sta andando.

Questo lavoro può essere svolto solo in forma cooperativa. Si tratta di animare con questo stile progettuale e cooperativo i luoghi decisionali della vita ecclesiale. Occorre invece valorizzare le competenze presenti nella comunità ecclesiale, soprattutto quelle del laicato. L'obiettivo non è affidare ai laici la gestione di fettine di potere, né una spartizione delle competenze, che ha trasformato le nostre parrocchie in arcipelaghi senza collegamenti tra un settore pastorale e l'altro.

Da qui nasce l'immagine di una chiesa concorde: capace di ascoltare tutti, riconoscendo in ciascuno una faccia di quella verità poliedrica, che non potremo mai abbracciare e possedere per intero, e che chiamiamo "Abbà".

Annunciare la provocazione

Oggi è necessario proclamare il vangelo con il linguaggio di Gesù. Questo ci chiede di accogliere la salvezza che ci viene incontro a partire dal basso, cioè nell'agire quotidiano. Il compito che ci attende è fondere gli orizzonti, non separarli, proprio come faceva Gesù. Non si tratta di neutralizzare il paradosso del regno di Dio presente nelle vicende della storia umana, ma di annunciarlo in un linguaggio che ne manifesti tutta la portata provocatoria.

I segni che si fanno gesti, le parole che diventano progetti esprimono la particolare razionalità comunicativa della predicazione di Gesù. Non gli interessava imporre la sua verità su Dio e sull'uomo. Piuttosto, a Gesù premeva costruire questa verità insieme con i suoi interlocutori, completando con il riferimento all'esperienza vissuta di ciascuno l'inevitabile imprecisione delle immagini.

"Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nella mani dei briganti?" - chiede in Lc 11,36. E la risposta sensata dello scriba, che coglie nella compassione l'elemento qualificante del comandamento evangelico dell'amore, obbliga all'azione. Siamo "condannati" dalla nostra finitudine umana a cercare, a immaginare, a tentare, a rischiare un senso. E a dare a ciascuna di questa azioni un perché condiviso anche da altri. Siamo "condannati" all'apertura, all'approssimazione, alle domande con risposte plurali. Questa povertà è la risorsa umana più importante, che non ci può essere sottratta neppure in un tempo di crisi come questo. Si può pensare senza certezze, ma con una grande fiducia nella capacità umana di riflessione e nelle ragioni degli altri.

Dunque, possiamo rimetterci a pensare insieme. Si può sentire con empatia la vita degli altri, senza massificare le emozioni e l'immaginazione. Dunque, possiamo guardare all'altro con passione. Si può praticare la via della giustizia facendo riferimento alla legge scritta nelle sapienze antiche dell'umanità e riscritta in tanti "cuori pensanti" di oggi. Dunque, possiamo disobbedire alle leggi degli stati, dei mercati e perfino delle chiese, pur di mantenerci aperti e disponibili a un senso più grande.

Il futuro della nostra capacità di evangelizzazione in Italia e in Europa dipenderà da questo triplice coraggio: di pensare, di sentire, di disobbedire, alla ricerca di un senso più grande.



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