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Un forlivese mite e sorridente

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Padre Gino Foschi era nato a Forlì, in Romagna, il 3 febbraio 1944 da Angelo e Liliana Bertoni. Non poteva ancora sapere che il Signore aveva fatto nascere lui e i suoi quattro fratelli in un tempo molto travagliato per il loro paese. Infatti, non c’erano più i gendarmi pontifici in cerca di criminali recidivi, come, per esempio, il Passatore. C’erano invece nazioni molto più potenti, di varie parti del mondo, coalizzate per distruggere la vecchia Europa e crearne un’altra.

Questa doveva ancora sorgere dalle macerie e dall’ecatombe di due milioni di morti. I cinque fratelli Foschi condivideranno con i genitori il travaglio di un “dopo guerra” che sapeva molto di povertà.

Una svolta radicale…

Gino e i suoi fratelli frequentarono la scuola primaria e le superiori nella loro stessa città. Finita la secondaria, scelse un Istituto tecnico per diventare perito Industriale.

Dopo una breve esperienza di lavoro al petrolchimico di Gela in Sicilia, registriamo una svolta radicale nei suoi progetti. Decise, infatti, di entrare nella famiglia dei missionari saveriani, accolto con altri postulanti adulti nella casa di Desio, per imparare a percorrere i sentieri veri e avventurosi dei safari africani. Ci andrà dopo aver percorso quello non meno arduo della formazione missionaria.

L’ordinazione presbiterale fu celebrata a Parma il 26 settembre 1971.

Il primo impatto con il lavoro di animazione missionaria e vocazionale nelle comunità dei saveriani avvenne a Cremona, dove p. Gino lavorò per quasi sei anni. Nell’ottobre 1978 si recò a Parigi per studiare il francese e poter finalmente partire per la Repubblica democratica del Congo. A Bukavu, cominciò la sua missione, come vice maestro dei novizi, insieme ai maestri p. Vavassori e p. Sommacal. Poi, finalmente, arrivò nelle parrocchie di Walungu e Kaniola.

“In Africa c’è posto anche per voi!”

Di questo periodo africano abbiamo un suo articolo, scritto per “La Vita Cattolica” di Cremona, nel quale p. Gino raccontava la celebrazione della Pasqua 1981 e la soddisfazione di aver battezzato 850 catecumeni. L’articolo prosegue con l’appello ai lettori del giornale perché tornino a riempire le chiese piuttosto che gli stadi, le balere e le prigioni.

E conclude con l’invito ai giovani di Cremona e di tutta Italia: “Forza ragazzi, che qui in Africa c’è del lavoro anche per voi”.

Parole non dissimili da tutte le altre esortazioni che pronuncerà come formatore degli studenti saveriani di Parma, vivaio dei futuri messaggeri del Regno. Dopo aver svolto questo prezioso compito, rimarrà in Casa Madre, costantemente attivo e disponibile a qualsiasi servizio comunitario, fino alla vigilia della partenza per la casa del Padre, il 2 luglio 2016.

Angelo del conforto e della speranza

Un volontario che assiste i malati anziani nelle famiglie e nelle Asl, frequentatore del confessionale del santuario Conforti a Parma, mi confidava di aver incontrato molto spesso p. Gino in alcuni reparti dell’Ospedale Maggiore o nelle Case di cura.

Le persone che aveva conosciuto inferme quando anche lui era malato, tornava a visitarle più di una volta al mese. L’infermiere aggiungeva che p. Gino era stato per lui un angelo del cielo, l’angelo del conforto e della speranza.

Nella Bibbia è scritto che il Signore assegna un angelo ad ogni città, a ciascuna delle sue porte, come pure ad ogni istituzione che serve il popolo di Dio, ad ogni famiglia e ad ogni essere umano di cui si prende cura.

Qualche giorno prima di affrontare l’ultima fatica, assistito fraternamente dal personale dell’infermeria, la nipotina Emma gli aveva fatto pervenire una lettera ornata di tre palloncini colorati di sua mano e il disegno di due bimbi in festa, la femminuccia in rosso e il maschietto in blu.

Come sanno fare molto bene i bambini, il testo coglie con geniale semplicità la solennità del momento:

“Caro zio Gino, sappiamo che sei in ospedale, perché ti sei preso una malattia. Però dopo tutta la burrasca c’è un immenso arcobaleno che porta amore, gioia, prosperità... Noi crediamo in te e non smetteremo mai di crederci. Con affetto, Emma”.



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