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Tsunami e Quaresima: Sarebbe possibile, se ci volesse...

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L'inizio del nuovo anno non poteva essere più traumatico. La tragedia dello tsunami ha tenuto il mondo con il fiato sospeso davanti alla televisione e ha ridimensionato il consumismo spensierato delle feste di fine anno, per riportarci tutti a pensieri seri e impegnati.

Molti si sono chiesti: “perché Dio non ha impedito questo disastro? se non l'ha fatto, è ancora un Dio giusto?”.

Le risposte non sono né semplici da trovare e, meno ancora, facili da accettare. Questa immane tragedia è la più grande catastrofe di questi ultimi secoli, incomprensibile e ingiusta. In poche ore, oltre 200.000 persone sono scomparse, cinque milioni sono rimasti senza tetto, due milioni di persone devono essere mantenute in tutto. Sono cifre spaventose.

Noi crediamo che lo tsunami non è stato un castigo di Dio. Né noi, che siamo stati risparmiati, siamo migliori degli altri. Esso è stato tuttavia un'occasione per farci riflettere sulla nostra povertà e precarietà, per farci vivere la solidarietà e la compassione che rischiano di non avere più cittadinanza tra di noi.

Quanto vale la speranza della povera gente?

I mezzi di comunicazione per alcuni giorni hanno parlato tanto di quegli italiani, e un po' degli europei, che stavano facendo le vacanze in quel magnifico angolo del pianeta trasformatosi in una trappola mortale. Ma poi con il passare dei giorni ci siamo resi conto che, pur dovendo parlare dei nostri concittadini uccisi o dispersi dalla violenza dello tsunami , c'erano anche molti altri, uomini e donne, infinitamente più numerosi, che hanno sofferto quella medesima sciagura e che alla fine, se hanno salvato la vita, sono rimasti letteralmente senza niente.

Ci siamo anche resi conto che non c'era solo la distruzione delle strutture turistiche, ma anche di quelle poche speranze di benessere legato allo sviluppo del settore industriale, tessile o agricolo, impiantato in questi ultimi anni, compromettendo il futuro di queste regioni. La furia delle acque ha spazzato via le speranze più ancora che i capitali, investiti con poche spese e con grandi ricavi, secondo la logica del libero mercato globalizzato. A questa povera gente, rimasta senza risorse, dobbiamo pensare.

Miracoli di generosità

Ma questa tragedia ha avuto una conseguenza inattesa. Se il disastro dello tsunami non ha precedenti, il mondo ha risposto con una solidarietà che neppure ha precedenti. In pochissimi giorni si sono raccolti milioni di euro, i governi hanno saputo mobilitarsi per venire incontro ai paesi disastrati e si sono visti miracoli di generosità. Questo ci mostra che, se il mondo volesse e se fosse opportunamente sollecitato, potrebbe esprimere quella “globalizzazione della solidarietà” cui spesso fa riferimento il Papa nei suoi discorsi sui problemi del mondo attuale. Si è anche visto che, se si volesse , sarebbe possibile mettere da parte le divergenze politiche e le contrapposizioni ideologiche per mettersi in ascolto delle miserie altrui.

Ora non resta che sperare che, al momento di utilizzare gli aiuti raccolti, non rinascano le solite rivalità e furberie e che non si dimentichi l'urgenza dell'intervento nella sbandierata volontà di “fare le cose bene”, quando la gente attende solo di poter riprendere a vivere.

Attrezzare anche i poveri

Un'ultima considerazione: questa disgrazia ha mostrato, ancora una volta, che sono i paesi più poveri a non essere attrezzati per difendersi da queste calamità, come invece lo sono altri paesi esposti allo stesso pericolo. Non è impossibile attrezzarsi, ma è necessaria la collaborazione. E la conferenza dell'ONU, tenuta a Jakarta il 6 gennaio scorso, ha deciso che queste strutture minime possono e devono essere istallate. Nella stessa conferenza è stato chiesto di rinegoziare il debito internazionale di questi paesi; un problema che, passato il 2000, è rimasto a sonnecchiare tra i dossier dei governi.

Speriamo dunque che da tanto male scaturisca anche un po' di bene.



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