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P. Colasuonno - La voce ai testimoni

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Vi sarete accorti, cari amici, che in questa pagina, da qualche mese, non trovate la cronaca di Casa nostra. La riavrete presto. Stiamo presentandovi alcune figure di Saveriani pugliesi (o che tali si son fatti). Per quel che han fatto o stanno facendo nel mondo, meritano di essere conosciuti anche fuori dal loro paese d'origine. Sono quei testimoni che secondo Paolo VI la gente preferisce ascoltare. E siamo certi che sarà così anche da parte vostra. In questo numero vi presentiamo p. Nicola Colasuonno, col titolo che egli stesso ha voluto darsi.

Padre Nicola è nato a Grumo Appula (Bari), un paesone tutto ulivi e processioni. Sua madre è ancora lì, con i suoi 86 anni. Ha avuto due fratelli e due sorelle e tanti amici. Ha trascorso la sua gioventù in seminario a Bari prima e poi a Molfetta. Tanti suoi compagni di classe sono parroci nelle parrocchie pugliesi.

Padre Nicola come hai sentito che volevi fare il missionario?

È stata la mia famiglia che ha voluto mandarmi in seminario. Mio cugino (don Carlo, ora parroco a Cassano Murge) era li come vice rettore. Sono stati giorni felici con tanto pallone e pasta asciutta. Ma il desiderio della missione mi tornava in mente ogni tanto come un pallone che non vuol stare sott'acqua. Padre Alfeo Emaldi (l'uomo che si tagliò la lingua nelle carceri di Mao, Cina) passò in seminario a raccontarci le sue avventure. Ne fui strabiliato: volevo essere missionario come lui!

Maturai bene la mia vocazione e dopo il liceo classico feci domanda di entrare nei Saveriani. I miei compagni non ne furono meravigliati; fu la mia famiglia che pose tanta resistenza ad accettare questa decisione.

E poi ti troviamo negli USA. Come mai questo salto?

Veramente ne fui meravigliato anch’io: P. Giuseppe Gallo e io fummo destinati a continuare la teologia negli USA, a Milwaukee. Siamo agli inizi degli anni settanta: c'era guerra in Vietnam, confusione nella Chiesa e tanta contestazione nella società. Ciò che mi aiutò molto fu un breve periodo passato da studente in Congo sul lago Tanganika. Furono solo sei mesi, ma tanto lavoro fisico (costruzione di una scuola e strada) però alla fine sapevo chi volevo essere e come investire la mia vita e i miei talenti.

Fui ordinato nel 1973 a Milwaukee (USA) con la gioia di avere presente quasi tutta la mia famiglia. Ora potevo celebrare la Messa: questo pensiero mi dava molta gioia e mi energizzava! Ho potuto incontrare tanta brava gente nel mio ministero negli USA: mi hanno incoraggiato, voluto bene e ancora ora, dopo quasi trent'anni, continuiamo a scriverci e a condividere la nostra amicizia.

Ancora un altro salto. Questa volta in Congo, come ti sei trovato?

Se ho sempre paragonato l'ordinazione allo sposarsi, andare in missione lo paragonavo all’avere il primo figlio. Mi sentivo realizzato e contento. Ho trascorso sette bei anni a Kitutu, un villaggio della foresta del Kivu, dove la creatività e la nostra buona intesa (padri e suore) ha portato molti frutti. A Kitutu c’era di tutto: cercatori d’oro, studenti, vedove, lebbrosi, cooperative, piccole comunità cristiane.

In quegli anni abbiamo inventato iniziative di gruppo, di animazione pastorale e scolastica: sebbene fossimo lontani da tutti, ci sentivamo incarnati e felici di essere in quella parte del mondo.  Fisicamente, furono anni duri a causa della malaria e delle malattie tropicali (filariasi, biliarziosi) nello stesso tempo furono anni felici, di piena missione.

Come è poi nata l'idea del missionario pellegrino? Sappiamo che hai pubblicato delle riflessioni in "Strada facendo".

È nostra abitudine tornare a casa dopo un periodo di riposo ogni tre anni, per cui, sia dagli Stati Uniti che dall'Africa mi si offrivano delle occasioni per raccontare la vita, la fede, le difficoltà, e soprattutto le sorprese dello Spirito Santo. Mi veniva spontaneo raccontare come Dio mi si era rivelato lungo le strade degli USA e del Congo. Tornavo a casa non come conquistatore o come turista con tante diapositive che raccontano i suoi divertimenti, ma come uno che cercava il volto di Dio già presente fra i Warega della foresta, tra i giovani drogati americani.

Naturalmente nella condivisione domandavo anch'io come Dio si stava rivelando qui nella mia comunità d'origine. Tornare a casa era una festa: si celebravano assieme le meraviglie di Dio scoperte sulla strada. Col passare degli anni e delle esperienze la missione mi cambiava, mi convertiva. Come un pellegrino dovevo fidarmi di Dio piuttosto che delle mie capacità. Partire era un atto di fede: è Dio che chiama e sarà lui a proteggere il missionario pellegrino dai pericoli.

Da tre anni ora sei nel Noviziato internazionale qui in Italia, in Ancona. Ti senti sempre missionario ora nelle Marche?

Non avevo mai trascorso tanto tempo in Italia. Tornavo a casa ma solo per vacanza. Ho scoperto in questi tre anni come è bella l1talia; le Marche poi con le sue colline, il mare e i monti sono meravigliose. Ripeto ai marchigiani che se avessi avuto anch'io un ermo colle delle Marche sarei diventato anch'io, come Leopardi, un poeta. Ho potuto anche toccare con mano la fede di tanti gruppi ecclesiali e parrocchiali.

Durante l'estate non c'è un angolo di bosco o montagna dove non ci sia un Campo scuola o un ritiro! È una ricchezza che ci viene da una tradizione molto forte! In Noviziato abbiamo ben sette novizi che faranno la prima professione il 12 di agosto a Parma. Il lavoro non manca, anzi le richieste sono tante e devo ammettere che la gioia di poter servire il Signore anche in Italia è tanta, frutto della sua bontà verso di me.

Caro p.Nicola, non ho altro da chiederti. Grazie di tutto, anche per la simpatia che hai per le mie Marche: ti assicuro che è ricambiata per la tua Puglia.



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