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Ricordo p. D. Rovedatti, saveriano dal tocco… francescano

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Morbegno, adagiata nella bassa Valtellina, circoscritta a nord dalle Alpi Retiche e a sud dalle Prealpi Orobiche, prende forma nell'alto medioevo. Nella sua storia conobbe il dominio dei Grigioni, seguiti da spagnoli, francesi e austriaci, sotto il cui governo fu costruita la strada nazionale. Fiorente è stata la vita religiosa della città; nel 1780 vivevano in Morbegno una trentina di preti, una dozzina di chierici, venti frati domenicani e cappuccini e una quarantina di monache.

A cavallo tra XIX e XX secolo i figli del santo Comboni, trovarono nella valle una fioritura straordinaria di vocazioni missionarie. Ci sono anche due missionari saveriani: p. Domenico Rovedatti e p. Giovanni Abbiati di Chiuro, sempre vivi non solo nella memoria dei loro cari, ma soprattutto con l'esempio di una vita dedita totalmente alla missione.

I racconti dei missionari

Padre Domenico Rovedatti era nato a Morbegno il 24 febbraio 1913. Come molti fanciulli, figli di famiglie cristiane, la sua aspirazione era diventare sacerdote; in seminario iniziò a realizzare la sua vocazione. Gli studenti del seminario di Como, tra le riviste a disposizione, leggevano il periodico saveriano Missioni Illustrate, dove i saveriani della Cina raccontavano le loro esperienze e avventure in quelle terre sconosciute alla maggior parte degli italiani dell'epoca.

Così, il 17enne Domenico il 13 giugno 1930 scriveva al rettore della casa saveriana di Parma: "Desidero che sia vicino il giorno in cui possa entrare nell'istituto ed essere così missionario e religioso". Infatti vi entrò un mese dopo. Il 19 giugno 1936 fu ordinato sacerdote e l' 8 febbraio 1939 partì missionario per la Cina.

Dalla Cina al Brasile

Dopo lo studio della lingua, p. Domenico fu assegnato alla diocesi di Cheng-chow. Durante la guerra cino - nipponica per tre anni sopravvisse nel campo di concentramento giapponese di Siang-hsien. La pace non durò a lungo.

In seguito all'occupazione di tutta la Cina da parte del regime comunista, anche p. Domenico fu espulso nel 1953. Rientrato in Italia, lavorò alla Procura delle missioni e poi nella casa di Zelarino (VE) fino al 1955, quando partì di nuovo missionario per il Brasile. Non più giovane, iniziò la sua missione con entusiasmo a Cafeara, nella diocesi di Londrina, con altra cultura, lingua e mentalità.

La cittadina non era ancora parrocchia e p. Domenico ne divenne il primo parroco. Egli lasciò la casa parrocchiale, appena costruita dalla popolazione, cedendola alle suore domenicane, e prese per sé una casetta di legno. Fu un tocco di spirito francescano di povertà, che commosse i suoi parrocchiani.

Un direttore spirituale nato!

Dopo Cafeara p. Domenico fu destinato al seminario saveriano di Jaguapitá come educatore e insegnante nella formazione dei giovani aspiranti saveriani. Gli piaceva stare in mezzo a loro. Era un direttore spirituale nato; non solo confessava i nostri seminaristi, ma anche quelli di altri seminari. Gli piaceva molto la musica e suonava anche l'harmonium.

Padre Morandi, superiore dei saveriani in Brasile, lo elogiò "per il senso di responsabilità, il buon criterio, la bontà, lo spirito di sacrificio e di umiltà, la paternità e la vigilanza, la giovialità e la prudenza, caratteristiche del suo metodo educativo".

Tornato a Londrina, per dieci anni divise il tempo tra la parrocchia di Vila Casoni e il seminario saveriano. Non guidava la macchina; sempre a piedi, visitava le famiglie e si prendeva particolare cura dei malati. I bambini lo accompagnavano allegri e felici di stringersi al suo fianco lungo le strade della favela di Sant'Agnese. Erano i suoi angeli protettori, che numerosi accorrevano a servire l'altare durante le funzioni liturgiche.



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