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Modello di sempre, Lo chiamano “Furanshisuko Zabieru”

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In Giappone lo conoscono proprio tutti

Immaginiamo un uomo bianco con la barba incolta che arriva su una nave carretta, capitanata da un pirata ladrone, ben pagato per effettuare la traversata. L’uomo si infiltra tra le case e i monasteri dei giapponesi, ben rasati e cortesi. Non sa parlare la lingua, ma è venuto per convincere la gente a credere nell’unica vera religione - la sua -, rappresentata da un Crocifisso, e non accetta che si adorino i tanti idoli sparsi dovunque, nelle case, nelle pagode, lungo le strade, nei boschi.

È entrato senza permesso e vuole incontrare l’imperatore, per avere l’autorizzazione di parlare di Cristo e far convertire i sudditi a una religione di cui nessuno aveva prima sentito parlare...

Che diremmo, se capitasse oggi?

Minimo: un esaltato, un pazzo, un infiltrato, forse un terrorista! Lo chiuderemmo in un centro d’accoglienza e lo rispediremmo a casa sua, sulla prima nave!

Nel Giappone del 1550 questo non avvenne. Eppure, il Saverio era il primo europeo a metter piede in terra giapponese e a interessarsi, non alla mercanzia - il famoso oro e argento del Sol Levante - ma alla sua gente. Dall’agosto del 1549 a novembre del 1551, egli trascorre 27 mesi di intensa avventura, come pioniere del cristianesimo in Giappone, mettendo a dura prova le sue capacità fisiche, mentali e psichiche. Lo ammette lui stesso, scrivendo al “padre Ignazio”: “Non potrei mai scrivere il molto che debbo ai giapponesi perché, grazie a loro, Dio mi ha fatto conoscere le mie miserie. Prima, preso da cose esteriori, non conoscevo le mie debolezze, finché non mi vidi in mezzo alle fatiche e ai pericoli del Giappone” (lettera del 29 gennaio 1552).

Un “mediatore culturale” perfetto

Il Saverio cerca di imparare il giapponese, si impegna nella traduzione delle preghiere e del catechismo con la spiegazione delle verità cristiane, parla con contadini e commercianti, discute con i bonzi e i samurai, incontra uomini di potere e informa l’Europa intera di questo popolo, fino ad allora sconosciuto. È un perfetto “mediatore culturale”.

Oggi, tutti i giapponesi conoscono il suo nome e il suo volto. Più ancora che nelle chiese cattoliche, le sue statue sono nelle piazze e nei parchi pubblici, nei musei e in tutti i libri scolastici. È possibile ripercorrere i suoi itinerari e le sue soste: dove è sbarcato, dove ha predicato, dove ha incontrato i bonzi e i signori della zona, dove ha pregato, dove è passato... In giapponese, il suo nome è diventato: Furanshisuko Zabieru.

Non lontano da Kagoshina, lungo un sentiero percorso ogni giorno da centinaia di studenti, un cartello con caratteri grandi, neri su bianco, è scritto: “Neppure Saverio approverebbe certi comportamenti indelicati tra compagni” (nella foto). Cose da... Giappone!

Come è stato possibile tutto questo?

Zabieru è “l’uomo buono, che ha parlato di amore”. È lo straniero che, per primo, ha voluto conoscere e far conoscere al mondo occidentale il popolo e la cultura giapponese. È l’ospite che ha apprezzato i valori, senza omettere di criticare i vizi. È un modello di come sia possibile un’integrazione autentica e un arricchimento reciproco, pur nelle diversità delle fedi e delle culture. Il missionario Furanshisuko Zabieru è entrato a far parte della storia moderna del Giappone. Lo stesso accadrà a un altro “compagno di Gesù”, Matteo Ricci, missionario nella Cina imperiale.

Tutti i missionari di oggi possono davvero prendere il Saverio come modello ispiratore della loro missione. I missionari e le missionarie che vivono in Giappone, soprattutto, non hanno bisogno della ricorrenza dei 500 anni della nascita o di altre ricorrenze straordinarie per riproporre il modello. Saverio è vivo nella memoria di quel popolo che egli ha incontrato, secoli fa, solo per 27 mesi...       



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