Lo spigolo della mistica: Chi crede vivrà
Riflettiamo sull'episodio della risurrezione di Lazzaro che, sempre sulla linea della catechesi sui sacramenti dell'iniziazione cristiana, è essenziale perchè di importanza suprema e definitiva: con la vittoria sulla morte si introduce l'elemento "costitutivo" dell'educazione cristiana, cioè la fede nella vita eterna: elemento costitutivo perché se fosse vero che con la morte finisce tutto, saremmo, per dirla con Paolo, i più miserabili di tutti gli uomini.
Con della risurrezione di Lazzaro, Cristo ci si rivela come "il" dominatore-padrone della vita e "il" vincitore della morte.
"La" notizia più sensazionale che Cristo ha portato sulla terra è esattamente la promessa della vita eterna: è stata una ventata di gioia-speranza.
Vogliamo dunque "accarezzare" l'idea dell'eternità affermando che essa è "la" più difficile e "la" più importante. Che sia la più difficile si dimostra facilmente dicendo: "Tant'è vero che non ci crede nessuno!".
La tesi è paradossale però ha molto di vero. Anche coloro che dovrebbero crederci, come i cosiddetti "credenti-sacerdoti-religiosi", ci credono, ma si-fa-per-dire nel senso che, sì, ci si crede ma si "vive" come-se-non-ci-fosse, cioè non secondo la "logica" dell'eterno, ma secondo quella del "passeggero".
Agostino direbbe: "Non ha fatto rumore, non l'ho odorata-toccata-gustata, dov'è questa vita eterna?".
E' "la" più lontana dai sensi: è "la" più rarefatta, "la" più pneumatica. Agostino ha ragione: siamo ipnotizzati dal sensibile.
Però dobbiamo anche affermare decisamente che l'idea dell'eternità è "la" più importante al punto che tutti i più gravi problemi che si agitano nel tempo e torturano la mente umana, come la morte e il dolore, il problema sociale e quello demografico, non si possono assolutamente risolvere, in modo "magistrale", se non inquadrati nella luce dell'Aldilà: l'eterno condiziona e relativizza, giudica e domina il passeggero.
Anche la filosofia, con Platone, pensa che senza la "sicurezza" dell'Aldilà l'uomo sarebbe abbandonato ad una povera zattera "pericolante" nel mare periglioso della vita; ammenchè - invoca Platone - non venga in aiuto un "più sicuro" naviglio, cioè un ragionamento d'Iddio. Così del problema del dolore si possono dare due soluzioni: quella di chi crede e quella di chi non crede.
Per chi disgraziatamente crede che, dopo questa vita, non c'è che il nulla, davanti al dolore non ha che una scelta veramente "logica": quella della disperazione-suicidio.
Chi invece ha la grazia di credere, con Paolo, che le tribulazioni della vita presente si ritroveranno cambiate in gloria nell'Aldilà, esclama con la dialettica degli "illuminati" dallo Spirito: "E' tanto il bene che m'aspetto, che ogni pena mi è diletto!". Proviamo a rileggere la sinfonia delle Beatitudini e troveremo che sono tutte coniugate con verbi al futuro: per il credente il dolore si metamorfizza in un bene "escatologico".
Dolore-morte-tribulazioni sono da evitare: ma non occorre dire, tanto è evidente, che in questa vita bisogna fare i conti anche con il dolore. Allora ha ragione la sapienza evangelica, che il solo Manzoni ha saputo cantare con il soffio dell'arte: quando i guai vengono o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e ce li rende utili per una vita migliore.
La cosa è tanto chiara e semplice, profonda e luminosa, che mi opprime e mi incanta.