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La Pasqua missionaria in Congo…

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Pensando alla Pasqua che celebriamo in Italia, il mio cuore va con nostalgia alle Pasque celebrate in Congo, e specialmente a Cahi e Bukavu, nella regione del Sud-Kivu. Sono tante le differenze, principalmente dovute alla realtà delle comunità ecclesiali viventi (CEV) o comunità di base, che anche in Italia sarebbero pastoralmente molto opportune: l’esperienza di chiesa che generalmente molti cristiani fanno a livello solo parrocchiale in Italia, è molto relativa, perché difficilmente si esce dall’anonimato.

Un cammino faticoso

Nel 2012, nella repubblica democratica del Congo abbiamo celebrato 50 anni da quando è stata lanciata la pastorale delle CEV (comunità ecclesiali viventi). In un primo tempo si era evitato di chiamarle “di base”, perché altrove le “comunità di base” a volte si ponevano in contrasto con la chiesa.

È stato un cammino lungo e faticoso. Nel Kivu in particolare, la difficoltà maggiore è stata causata dalla rivoluzione mulelista scoppiata nel 1964, che scombussolò la vita della gente e della chiesa. Fu allora che i saveriani diedero il loro primo contributo di sangue alla missione in Congo: il 28 novembre 1964, nella missione di Baraka furono uccisi fr. Vittorio Faccin e p. Luigi Carrara; poi la sera dello stesso giorno, per mano dello stesso massacratore, nella missione di Fizi furono uccisi p. Giovanni Didoné e l’Abbé Joubert, un sacerdote diocesano.

Per le CEV, c’è stata poi la battuta d’arresto in tutto il Congo/Zaire nel 1972, quando il dittatore Mobutu lanciò la politica dell’autenticità, con l’obiettivo di “sradicare la chiesa cattolica”. Tuttavia, grazie alla resistenza dei vescovi e dei fedeli, nei primi anni ’80, l’orientamento pastorale ha rilanciato le comunità ecclesiali viventi, che hanno preso vigore in tutte le diocesi del Congo.

L’incontro settimanale

Inoltre, con il primo sinodo per l’Africa e l’esortazione apostolica Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II, i vescovi del Congo hanno rinnovato l’orientamento delle CEV, con il documento intitolato, La Nuova Evangelizzazione, che aveva alla base la visione della “Chiesa, famiglia di Dio”. Non c’è niente di meglio per le CEV che vivere lo spirito di famiglia delle prime comunità cristiane di Gerusalemme (Atti 2,42-47).

Le CEV, infatti, riuniscono le famiglie del quartiere, dove non esiste l’anonimato e le gioie e i dolori sono condivisi. La vitalità delle CEV si basa sull’incontro settimanale con tre momenti: la Parola di Dio e la preghiera spontanea, i resoconti sui ministeri pastorali, lo scambio di notizie.

Tredici ministeri pastorali

Nella parrocchia di Cahi, ho vissuto in modo profondo l’esperienza di chiesa nei suoi vari gradi: la chiesa domestica nelle famiglie, la chiesa nelle comunità viventi,​ e la chiesa nella parrocchia. A livello di CEV, funzionavano bene tutti i tredici ministeri pastorali, importanti per la vita cristiana e sociale della gente.

Eccoli: il servizio di presidenza, la missione, la catechesi, la pastorale dei ragazzi, la pastorale dei giovani, la liturgia, fidanzamento-matrimonio-famiglia, il ministero della consolazione (pastorale dei malati e dei defunti), la caritas, la riconciliazione (quanti litigi ricomposti in CEV con il perdono reciproco, senza spese di tribunali!), l’impegno per la giustizia e il progresso sociale, le vocazioni, la festa e le manifestazioni culturali (teatro, festival, sport…).



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