Intervista a p. Gianni Martoccia
Missionario in Bangladesh e in Amazzonia
Padre Gianni Martoccia è un saveriano genovese di adozione, nato a Laurenzana in Basilicata. Dopo 12 anni di lavoro in Bangladesh, dal 1995 è missionario in Brasile. Gli abbiamo chiesto di parlarci della sua interessante attività e delle differenze tra la missione in Asia e in America latina.
Dove lavori in Brasile?
In questi 11 anni trascorsi in Brasile, ho lavorato nelle zone di frontiera dello Xingu, dove i saveriani fanno servizio in tre parrocchie. Poi, mi hanno chiesto di insegnare nel seminario teologico di Belém, nel nord del Brasile. Ho una licenza in sacra Scrittura, presso l’istituto biblico francescano di Gerusalemme e avevano bisogno di professori. Siamo pochi insegnanti: dobbiamo lavorare molto e spaziare di più. In questo modo forse si perde in profondità, ma si guadagna in estensione. L’insegnamento è attualmente la mia occupazione principale.
Alcuni anni fa, è sorto nell’arcidiocesi di Belém un centro di formazione per laici e diaconi permanenti. Insegno anche in questo istituto. Inoltre, do una mano nel seminario di Palmas, capitale del Tocantins.
Sei stato anche in Bangladesh. Che differenza c’è?
Sono due mondi completamenti diversi. In Bangladesh sono stato dodici anni. È stato il primo amore e non posso cancellarlo dalla mia vita. È stata un’esperienza difficile, anche per la situazione complessa di quella nazione asiatica. Ma ciò che mi ha pesato di più è stata la difficoltà nello stabilire un rapporto semplice, diretto e spontaneo con le persone. C’era sempre qualcosa che rendeva il rapporto un po’ artificiale.
La maggioranza della gente del Bangladesh è musulmana e subisce l’influsso culturale e religioso degli Stati musulmani del Medio Oriente. L’atteggiamento verso lo straniero è sempre un po’ ambiguo. C’è il sospetto che gli stranieri siano là per far loro cambiare religione o dominarli culturalmente.
Anche il missionario è visto come un ricco, un privilegiato. Se non altro, perché ha la possibilità di fare un viaggio in aereo, spendendo quello che loro guadagnano in molti anni di fatica.
Questa ambiguità sospettosa, la difficoltà nei rapporti personali, la pesantezza del clima caldo e umido, il problema della sovrappopolazione - che dà la sensazione di essere “soffocati” -, rendono difficile e dura la vita del missionario in Bangladesh.
Ho una grande ammirazione per i missionari e le missionarie che continuano, con coraggio e determinazione, a rimanere in Bangladesh con la loro presenza di servizio, senza aspettarsi grandi successi o frutti dal punto di vista pastorale, di conversioni o di sviluppo sociale.
Ti trovi meglio in Brasile...
In Brasile l’attività missionaria è molto più gratificante. È un Paese enorme, con richieste infinite di lavoro pastorale, di insegnamento, di servizio sociale, di impegno per la giustizia. Il Brasile, a differenza del Bangladesh, offre tutte queste possibilità. Le opportunità lavorative sono davvero tante e ampie. È una nazione “cattolica”, dove però c’è continuo bisogno di evangelizzazione e di approfondimento. È più facile rispondere alla vocazione e donare se stessi.
Com’è andata a Gerusalemme?
A Gerusalemme ho studiato sacra Scrittura per tre anni. Tra i tanti doni che ho ricevuto dal Signore, questo è stato il più arricchente, oltre ogni mia aspettativa. È stato duro e faticoso. Ho anche pianto, al pensiero di tornare sui banchi di scuola e ricominciare a studiare discipline impegnative, come il greco e l’ebraico.
Ma la ricchezza che il Signore mi donava attraverso lo studio della bibbia e la visita ai luoghi della storia salvifica, dove Gesù ha operato e vissuto, mi trasmetteva qualcosa di indescrivibile che dà forza alla fede. Mi accorgevo di non conoscere con la dovuta profondità la Parola di Dio. Mi veniva il desiderio di essere sempre più un discepolo autentico. È stata una vera e propria immersione nel mondo biblico.
Per questo, mi sento in dovere di far fruttificare questo dono, in modo che il maggior numero possibile di persone possa entrare in contatto con la vita di Gesù, con l’atmosfera e il contesto evangelico.