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Il ruolo della Chiesa cattolica nel Paese

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La Chiesa cattolica in Congo RD, negli ultimi decenni, ha preso sempre più a cuore la partecipazione nei problemi sociopolitici, economici e culturali, diventando uno degli attori principali della vita del Paese. La sua implicazione nella crisi di questo ultimo periodo ne ha messo in rilievo le sue capacità di mediazione, di proposizione e di organizzazione per il rinnovamento della società, anche se i risultati raggiunti non hanno mai incontrato il favore completo del potere. Con il suo modo di essere, però, si pone come coscienza critica nella società, denunciando ogni tipo di deriva nei confronti del bene comune, fornendo alla gente sempre nuovi criteri di giudizio.

Queste prese di posizione della Chiesa si radicano in una storia e in una tradizione che hanno affinato il suo intervento nella società dall’indipendenza del paese nel 1960. Da sempre, la Chiesa mette il suo accento sui problemi di società che hanno il cuore nella difesa della dignità della persona e del servizio al bene comune. Già nel 1963, in pieno Concilio Vaticano II, i vescovi del paese scrivevano la lettera “I cristiani davanti all’avvenire del paese”, dove i cittadini, soprattutto i responsabili, erano richiamati a un forte impegno nella situazione turbolenta del dopo indipendenza. L’azione della chiesa congolese puntava più alla formazione delle coscienze sulla base dei valori e dei riferimenti dell’insegnamento sociale cristiano che sul fatto di sostenere un partito politico o l’idea di crearne uno.

Già da subito emersero personalità forti e coraggiose che con il loro parlare franco e profetico non solo manifestavano la loro voglia di partecipare alla coesione sociale e al progresso del paese, ma incarnavano la voce di quel popolo che dall’indipendenza non ha mai smesso di soffrire. Nel 1966, il Cardinal Malula, arcivescovo di Kinshasa, nell’anniversario della presa di potere da parte di Mobutu, richiamava il presidente a fare attenzione alle grida del popolo. Mons. Kabanga, arcivescovo di Lubumbashi, seconda città del Congo, scriveva “Sono un uomo”, lettera della quaresima del 1966, che denunciava la miseria nella quale viveva la popolazione.

Questi interventi episcopali irritarono il presidente Mobutu che intimava i porporati a non intromettersi più negli affari dello stato. Iniziava così l’estenuante missione profetica della Chiesa nei confronti di detentori del potere che hanno sempre remato in direzioni diverse. Questa missione sarà caratterizzata da sofferenze, calunnie, esili e persino martiri tra coloro che sono stati gli uomini di chiesa più ispirati e coraggiosi del Congo. Negli anni ’70 il regime diventa sempre più feroce. Nel 1971, sulla scia della decolonizzazione culturale, Mobutu cambia il nome del paese chiamandolo Zaire. Tutto deve essere “zairinizzato” e animato dal partito unico del Movimento Popolare della Rivoluzione (MPR).

Anche la Chiesa subisce il contraccolpo. Tutte le associazioni cattoliche sono sciolte e persino nei seminari sono imposti comitati animati dalla gioventù dell’MPR. I nomi cristiani sono soppressi, cancellata la festa di Natale, le riunioni dei vescovi proibite. I corsi di religione sostituiti con l’indottrinamento del partito e i simboli religiosi tolti dai luoghi pubblici. L’azione della Chiesa deve svolgersi solo all’interno dei suoi edifici e restare relegata alla sacrestia. L’intenzione era quella di imbavagliarla affinché il partito unico restasse il solo riferimento del popolo. Lo stesso cardinal Malula sfuggirà ad un attentato e si rifugerà in Vaticano per sei mesi.



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