Il missionario visita i malati
Raul, animatore del villaggio “Sant’Antonio”, nella missione di Dondo in Mozambico, mi chiede quando posso visitare i malati della sua comunità. Ci mettiamo d’accordo per il martedì mattina, verso le otto. Il punto d’incontro è la cappella del villaggio: preghiamo e affidiamo al Signore l’attività che stiamo per svolgere; poi cominciamo le visite.
E con noi è il “gruppo della carità”, composto da due uomini e una decina di donne: si chiamano “madri della misericordia”. Aiutano con canti e preghiere, mentre io confesso il malato, che poi riceve l’olio degli infermi e la comunione Eucaristica.
A piedi tra le povere case
Ci muoviamo a piedi nel bairro Mafarinha, il quartiere della stazione ferroviaria. Passiamo tra le case, che hanno un piccolo cortile; i confini sono generalmente marcati da una siepe o da piante di manioca. Sono poche le case in mattone; quasi tutte sono di fango con tetto di lamiera. Il sentiero a volte è stretto, giusto per il passaggio di una persona o di una bicicletta.
Ogni tanto ci si imbatte in un grande buco nel terreno, da dove è stata presa la terra per costruire la casa e adesso serve come immondezzaio. Ci sono anche alberi da frutta, come manghi, papaie e banani. La casa serve per dormire e custodire i pochi beni; la vita - cucinare, lavare e mangiare - si svolge fuori, in uno spazio aperto e a vista di tutti.
La bimba che non sorride
Nella prima casa vivono i genitori trentenni, entrambi malati di Aids, e le due figlie. La madre Rita vive su una stuoia: è magra e senza forza, non riesce a muoversi; le hanno diagnosticato la tubercolosi e ha già cominciato la cura. Il marito sta un po’ meglio, ma non ha forza per lavorare la terra. La figlia maggiore è a scuola; la piccola di 4 anni sta sempre accanto alla mamma ed è seria; anche quando la saluto non riesce a sorridere: la malattia dei genitori le ha cambiato l’umore.
Arriviamo alla seconda casa, dove sono riuniti i malati della zona: un uomo e otto donne; tutte anziane, tra cui due cieche, zoppe e una quasi sorda. Anche qui confessione per tutti, unzione degli infermi e Comunione. Quando ce ne andiamo, ci salutano felici.
Parlano i suoi occhi
Visitiamo un uomo paralizzato, con gravi difficoltà a parlare. È seduto su una sedia, e appena anch’io mi siedo, vedo un rivolo d’acqua che dai pantaloni scende sotto la sedia e va verso la porta. Forse è l’emozione di avere in casa il missionario, accompagnato da tante persone.
Comincio con la confessione, ma lui non riesce ad articolare le parole per esprimere ciò che vuole dire. Gli faccio domande, affinché possa rispondere sì o no; anche così si sforza di dire ciò che ha nel cuore e che i suoi occhi mostrano: lo sguardo riflette i suoi sentimenti, insieme alla pena di non riuscire a comunicare come vorrebbe. Alla fine della visita lo saluto: è visibilmente più sollevato e ringrazia.
La moglie fedele
L’ultimo malato è Jacinto, un anziano paralizzato. Lo vedo più sereno: l’ultima volta che l’ho visitato, gli bastava un niente per mettersi a piangere. In altre occasioni l’avevo accompagnato in macchina all’ospedale per i controlli medici. La moglie gli sta sempre accanto per accudirlo in tutto. Vedo in questa donna l’immagine della fedeltà. Anche lei si confessa e si comunica: per assistere il marito ha poco tempo di andare in chiesa.
Finita la preghiera con Jacinto, si conclude il giro delle visite. Dopo aver trascorso praticamente tutta la mattina girando per il quartiere, il gruppo si congeda e ognuno torna a casa.
“Abbiamo visto il Signore!”
Anch’io a casa penso come le persone incontrate siano pagine di vangelo, che parlano della misericordia di Dio per i piccoli, una in particolare: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Collego queste parole a quelle che Maria Maddalena rivolge ai discepoli, tornando dal sepolcro: “Ho visto il Signore!” (Gv 20,18).
Così penso che anche oggi il Signore Risorto appare ai suoi discepoli. E noi l’abbiamo visto e ne siamo testimoni.
Con affetto.