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Dall’altra parte del mondo

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Dopo un lungo silenzio mi rifaccio vivo. L’occasione è il mio rientro inaspettato in Italia per un intervento chirurgico: sono gli acciacchi che arrivano con gli anni. Questo mi ha dato l’opportunità, visitando la comunità saveriana di Alzano, di scrivere qualcosa.

Come cambiano le cose in poco più di due anni di assenza! Avevo lasciato la comunità con p. Mario Giavarini e p. Giuseppe Zanchi, che mi salutavano sulla porta di casa, e sono andati a ricevere la giusta ricompensa delle loro fatiche missionarie. Adesso saluto i nuovi membri della comunità: p. Gerardo Caglioni, p. Arduino Rossi e p. Evelino Basili, che non vedevo da molti anni.

Sacrifici da accettare

Ma veniamo a me: cosa vi posso raccontare? In primo luogo, desidero manifestarvi ancora una volta la gioia di essere presto, nuovamente, in Colombia. Spero che questa parentesi in Italia non duri molto e che possa tornare quanto prima nella mia comunità a Bogotà.

Là ho lasciato i miei parrocchiani che si preparavano alla quaresima e alla settimana santa, con tutte le varie liturgie e processioni che loro, anche senza di me, sanno realizzare e vivere con fede, accompagnati dai miei confratelli che lavorano là. Mi dispiace non aver potuto vivere la Pasqua con loro, ma bisogna accettare anche questi sacrifici.

Un paese che migliora…

Sono già passati cinque anni dal mio ritorno in Colombia: un paese che in questi ultimi anni è riuscito con fatica a iniziare un cambiamento in vari settori della sua vita sociale, politica, economica e religiosa. Negli anni ‘90 si contavano 30mila uccisioni, tra guerriglia, narco e paramilitari. Nel 2014 si sono riscontrate 12mila uccisioni. È ancora un numero raccapricciante, però c’è un forte “miglioramento”. Il gruppo più numeroso, il Farc, da due anni sta portando avanti un dialogo con il governo: è un percorso lento, ma speriamo che presto sfoci nella pace.

L’economia migliora, anche se la ripartizione della ricchezza è ancora iniqua. I ricchi se ne impossessano, ma - come si dice - le briciole che cadono dalla loro tavola sono più abbondanti che nel passato.

Troppo ottimista?

Mi direte che sono troppo ottimista. Forse è vero, ma bisogna anche saper vedere il bene che cresce, anche se questa crescita è ancora insufficiente.

Quello di cui ha più bisogno la gente è, come dice papa Francesco, di “non rubare la speranza”. Speranza fondata sui valori del vangelo: la carità, la condivisione, la solidarietà, il perdono, la generosità…

Questo è il messaggio che noi missionari cerchiamo di vivere con la nostra gente in un camino di fede vissuta nella quotidianità, nelle piccole cose di ogni giorno, nel lottare per sradicare i germi del peccato, che sono l’indifferenza, la corruzione, l’egoismo, l’arrivismo, la violenza, il pensare solo a se stessi.

In cammino con la gente

Per noi missionari, essere presenti nelle aree a noi affidate consiste proprio nel camminare con la gente, passo dopo passo, con le inevitabili cadute, e rialzandoci insieme per continuare il camino di fede. Questo significa camminare seguendo le orme lasciate da Cristo che - come dice il vangelo - è la nostra via: la via che conduce al Padre. Ripeto, non sono un idealista.

Questa visione è frutto di una piccola, ma per me importante esperienza di vita missionaria, non più basata su grandi realizzazioni.

Consiste, infatti, nel condividere questo cammino con la gente, senza nascondere le fatiche o addirittura le battute d’arresto.

Resta in noi la certezza che, per ogni atto, è Lui l’artefice, mentre noi siamo solo i suoi piccoli collaboratori.

Tornando in Colombia chiedo a tutti voi di continuare, come sempre avete fatto, a sostenerci nell’opera evangelizzatrice della chiesa e in particolare della chiesa colombiana.



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