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"Papà, vado in missione"

Domenica 28 settembre, a Parma, nel santuario beato Guido Conforti, sarà ordinato sacerdote Andrea Gamba, un saveriano padovano. Ecco come lui stesso ci racconta la storia della sua vocazione e le prospettive per il futuro.

Tutto incomincia in un piccolo quartiere della periferia nord di Padova, in una famiglia normale. Mio papà lavorava in un'azienda e mia mamma si occupava della casa e di noi tre piccoli: le sorelle Carla e Laura ed io.

Una casa aperta sul mondo

Fin da piccolo ho respirato in casa un'aria d'apertura al mondo. Molti piccoli gesti hanno contribuito a costruire in me una mentalità universale. Attraverso i racconti della mamma, che ci leggeva le lettere dello zio missionario, abbiamo imparato a conoscere la realtà di sofferenza del popolo africano. Era cosa abbastanza comune ricevere in casa i missionari e così si andavano ampliando le scoperte sul mondo missionario.

Ma non si restava solo sul piano della conoscenza o della curiosità. Nostra madre ha sempre tentato di coinvolgerci nell'impegno per una condivisione. In una forma semplice e quotidiana, si è andato forgiando in noi uno spirito di generosità che, posso dire, sia stato uno dei pilastri della mia vocazione.

E allora i piccoli sacrifici di risparmio, tipici della nostra terra veneta, erano finalizzati a condividere con chi soffriva o aveva meno di noi, a simpatizzare con ciò che poteva apparire molto lontano da casa nostra... I sentimenti di tristezza che sperimentavamo, ascoltando alcuni fatti sul mondo missionario, erano stimolo ad una risposta di condivisione con i nostri fratelli più poveri. Molte volte era una risposta semplice, fatta di pochi spiccioli. Ma era tutto quello che potevamo dare in quel momento e a quell'età.

Il mappamondo

Ricordo che i regali più graditi, che mi arrivarono un anno a Natale, furono un mappamondo e un grande e completo geoatlante. Erano queste le nostre fonti di viaggio. Con nostro padre ci divertivamo a scoprire la locazione geografica di molti nomi di città. Con le mie sorelline facevamo a gara per leggere le città più strane e individuarne la posizione sul globo o lo stato cui appartenevano.

E così trascorrevano alcune ore del pomeriggio, che nostro papà dedicava a noi. Nello stesso tempo, in una forma così piacevole, si andava affinando in me, ancora ragazzo, una mente aperta alla diversità e ai più lontani.

Fede di mamma e abilità di prete

Vivendo all' ombra del campanile e partecipando alle attività della parrocchia, sono andato maturando la scelta di fede. È stata mia madre che ci ha iniziati e accompagnati nella vita di fede. Un modo semplice di vivere la fede, che sarà la base per la futura crescita e mi sosterrà, poi, nel lungo cammino verso la realizzazione della mia vocazione.

In questo percorso da bambino, fu molto importante anche la presenza del parroco, don Carlo, che con un'abilità senza uguali, sapeva convogliare l'attenzione fragile di ragazzini, amanti del gioco e del divertimento, verso piccoli momenti di raccoglimento e di preghiera.

"Da grande, andrò in missione"

Il sogno missionario, conservato gelosamente nel mio cuore, non tardò a manifestarsi. Dopo le ripetute domande di mio padre su cosa pensassi di fare da grande, una sera d'estate, ebbi il coraggio di dare voce al sogno che avevo coltivato in segreto. Gli confidai: "Andrò a lavorare in missione". Avevo allora tredici anni.

Il desiderio di contribuire alla felicità dei più poveri e sfortunati, con il mio aiuto concreto, si andò trasformando in desiderio di offrire tutta la vita e non solo il lavoro manuale o qualche risparmio. Ricordo che, in quel periodo, era nota una frase che diceva: "Non è sufficiente dare un pesce, bisogna insegnare a pescare". Questo slogan suscitava in me una domanda: per quanto tempo dovevo insegnare a pescare?

Pensavo tra me: uno, due, tre anni ... Ma mi sembrava che qualche anno, per insegnare a pescare, non bastasse! Solo il "sempre" mi lasciava soddisfatto.

La gran gioia di fare il bene

Solo molti anni dopo, ho avuto la possibilità di vivere una breve (solo sei mesi) ma intensa esperienza missionaria. Il Perù è stato il paese che mi ha ospitato e mi ha offerto un contatto che avevo desiderato da lungo tempo.

Il dono più bello

La Cordigliera bianca delle Ande fa da contorno alla città di Huaraz, situata a 3.200 metri. Il bellissimo paesaggio contrasta con la povertà in cui vive la maggior parte della gente. Una povertà che, molte volte, ha la sua radice nella mancanza di quei valori che Cristo ha donato a noi con la sua vita e il suo vangelo.

Qui mi sono confermato in una convinzione: l'annuncio del vangelo è necessario ed è il più bel dono che possiamo fare agli uomini d'oggi, che ancora non lo conoscono e non lo vivono. Qui ho scoperto nei cristiani l' autentico affidarsi a Dio Padre; quella fede e fiducia che nasce da un'esistenza semplice e umile. In questo abbandono fiducioso e filiale, ho scoperto la forza per costruire una società più giusta.

"Hanno bisogno di noi"

Al termine di quest'esperienza ho prestato il servizio civile in una cooperativa per disabili a Montagnana. Lì sono entrato in contatto con il miracolo dell' amore. L'affetto verso questi piccoli può trasformare non solo la loro vita, ma anche quella di chi li assiste. A un giovane che aveva scelto questo impegno, dissi una frase d'incoraggiamento: "Forza, Massimo, questi ragazzi hanno bisogno di te". Massimo mi rispose: "Non sono loro che hanno bisogno di noi. Siamo noi che abbiamo bisogno di loro".

A voi lascio intuire il significato di questa frase, che è molto più profondo di quanto si possa pensare. Solo uno spunto: rivela il mistero dell'amore gratuito.

Con i saveriani

Al concludersi dell'anno di servizio civile, ho iniziato il mio cammino con i missionari saveriani, nel noviziato di Ancona. Padre Alfiero Ceresoli era il nostro maestro. Accompagnato da lui, io e gli altri amici di noviziato abbiamo scoperto, con entusiasmo e passione, la figura del Conforti: un vero esempio, non solo di padre e fondatore, ma anche di animatore missionario.

L'ultima tappa del mio cammino si è svolta a Madrid, in Spagna. Qui ho concluso il periodo di formazione al sacerdozio con lo studio della teologia e la pratica pastorale.

Non privarti della gioia

Il mondo ricco ha bisogno di ascoltare il grido di chi soffre l'ingiustizia, per guarire dalla grande malattia del cuore umano: l'egoismo. Una malattia che miete vittime nel sud del mondo, perché il livello di vita, che stiamo tenendo in occidente, si basa sullo sfruttamento di altri popoli.

Le vittime del nord sono tutte quelle persone infelici della vita, perché hanno perso la gioia di dare gratuitamente. Mi viene in mente una frase che diceva il servo di Dio padre Pietro Uccelli: "Non privarti della gioia di fare il bene!" Dobbiamo riscoprire questa gioia.

In questo tempo di servizio all'animazione missionaria, ho riscoperto che la fede si rafforza donandola. Chi dà guadagna molto di più di quello che può perdere. Se la fede non si dona, la si perde.

Finalmente la missione

All'orizzonte mi aspetta la terra di Amazzonia, nel nord del Brasile. Spero, con il prossimo gennaio, di iniziare il mio primo contatto con il popolo brasiliano. Così potrò incominciare a far diventare realtà il sogno missionario del bambino "Andrea".



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