Comunità accoglienti, uscire dalla paura
A 25 anni dal documento Ero forestiero e mi avete ospitato, oggi avvertiamo la necessità di condividere una riflessione sul tema dell’immigrazione, alla luce del profondo cambiamento avvenuto. Come cristiani, non possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontare il tema migrazioni con realismo, intelligenza, creatività, audacia, evitando soluzioni semplicistiche. Il fenomeno migratorio chiede alle nostre comunità di avviare “processi educativi” che vadano al di là dell’emergenza.
Leggere le migrazioni come “segno dei tempi” significa prendere coscienza dei meccanismi generati da un’economia che uccide e dell’iniquità che genera violenza. Incontrare un immigrato significa fare i conti con la diversità. La prima diversità è quella fisica, la più visibile. Spesso, due paure si ritrovano a confronto. Le paure si possono vincere solo nell’incontro e nell’intrecciare una relazione. È un cammino esigente e a volte faticoso, a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica.
Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile, di accettarne la libertà e di desiderare fargli posto e accettarlo. Tutto ciò senza rinnegare la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma riconoscendo che ve ne sono altre ugualmente degne. Scopriremo una ricchezza inaspettata.
Da un incontro vero nasce la relazione e il dialogo, che hanno come fine il camminare insieme. È nel dialogo, allora, che si modificano i pregiudizi, le immagini, gli stereotipi. Nel dialogo, aperto alle persone di altre chiese e di altre religioni, si allarga anche la comunione e la fraternità. L’integrazione è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti.