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1. SAFARI NJEMA (buon viaggio)

Quando leggevo i libri e mi imbattevo nella parola “Safari”, mi venivano subito alla mente gli elefanti, le tigri, un mondo meraviglioso, lontano e sognato chissà quante volte. Poi, quando sono arrivato in Congo, il maestro di lingua mi ha detto che la parola “safari” (cioè viaggio) viene dal verbo “kusafiri” (viaggiare) e il viaggiatore si chiama “msafiri”. Insomma era alcune parole della lingua swahili.

Poi, arrivato a Baraka (benedizione), sulle rive del lago Tanganika, ho cominciato a sentire spesso questa parola. “Safari njema” (buon viaggio) era l’augurio per chi partiva, ma non vedevo né leoni né elefanti, ma c’era, sempre un piccolo animale fastidioso che, se ti toccava, ti faceva venire una febbre bestiale: la zanzara. I giorni passavano, cominciavo a parlare nella nuova lingua. I bambini mi correggevano, ridendo ai miei sbagli.

Ma io dovevo imparare, se volevo sentirmi a casa mia.

Finchè un giorno il parroco mi dice: “Domani partirai per il safari sul lago” (ne avevo già fatto uno più corto con lui), ma ora era il grande viaggio di 130 km., lungo le sponde del lago. Il giorno prima si prepara il battellino (Michel e Santos i due capitani ormai sapevano cosa fare). Io dovevo tenere a bada gli aspiranti passeggeri che volevano uno strappo, dicendo che bastava loro un posticino e io, di buon cuore, dicevo di sì.

Ma la sorpresa era dietro l’angolo.

La notte passa veloce con tanti pensieri. Al mattino presto, sveglia. Ci si porta verso la riva e si carica tutto quello che serve.

Mi dimenticavo! Arrivano i passeggeri. Uno aveva chiesto, ma per non restare solo, era venuto in compagnia, bagagli compresi. Dove li mettiamo? Basta stringersi un po’ e…c’è posto per tutti o quasi. Io vedo all’interno e gli altri lo occupano dappertutto. Insomma, in acqua, siamo proprio al livello del lago. Si accende il motore e si parte. Ma dopo mezz’ora, si scatena il finimondo: tuoni, lampi…insomma una bella tempesta (tipo quella che gli apostoli hanno provato sul lago con Gesù). Dopo un’ora, i due capitani riescono ad arrivare a riva.

Paura? Non c’era tempo.

In mezzo al lago c’era qualcuno interessato alla conclusione dell’avventura: coccodrilli e ippopotami che aspettavano il cibo quotidiano, ma quella volta hanno fatto digiuno. Sulla riva accendiamo un fuoco per scaldarci, per scambiarci le impressioni e per ringraziare il Buon Dio che aveva deciso di non accoglierci, ma ci era stato vicino.

E il viaggio continua.

E pensare che io vengo dalle colline del Piemonte, non so nuotare, ma avevo fiducia in chi ci guidava. Mangiamo qualcosa (c’è sempre una scatoletta di tonno di scorta). Nei villaggi ci daranno del pesce con il riso. Ma qui siamo in emergenza. Il viaggio è previsto per quindici giorni. Incontreremo tante persone, ci metteremo in ascolto. Chissà quante cose avrò da raccontare al ritorno.

Ma per il momento, dopo un po’ di riposo, si passa dall’altra parte della penisola dell’Ubwari.


(1. CONTINUA)

 

 

 



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