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Almeno 3419 persone vi hanno perso la vita. Donne, uomini e bambini che fuggono dagli schermi televisivi. Evadono le cronache invisibili dei conflitti armati. Rischiano l'altrove nel mare. E' questa la  strada più mortale del mondo. Fanno 3419 da gennaio fino a natale che si allontana come può. Speriamo che l'anno finisca prima.Per qualche giorno si fermerà il conteggio. Il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati la chiama così. Una strada che oltre duecentomila persone hanno percorso quest’anno. La strada del mare dove affonda la civiltà di un improbabile continente. Bracci di mare che diventano artigli. Lo stretto di Gibilterra con la Spagna di Ceuta e di Melilla nel Marocco. Fili spinati e lame aguzze come cocci che ritagliano le vene della storia. In fondo le guerre non sono così lontane come può sembrare. Si invitano da sempre e fanno credere di essere giuste. C’è chi fugge  la miseria che delle guerre rimane quella più mortale di tutte.

La strada del mare è anticipata da quella del deserto. Camion, fuoristrada, ostelli precari e pozzi d’acqua ormai seccati. Si incontrano a gruppi o abbandonati al loro destino dai trafficanti. Mancano agli appelli e le sepolture sono accidentali.

Il Sahel è l’altra strada dei viandanti. Se non sai dove andare almeno puoi dire da dove vieni.

Bel proverbio, dicono, solo che ha smesso di funzionare da tempo. Poi c'è l'altro braccio di mare. La città di Calais in Francia lo assedia. E alcune migliaia di migranti guardano l'orizzonte dai camion che tentano di cavalcare. Il porto si è trasformato in una porta sbarrata. Per oltre 2 000 migranti si è innalzata una doppia rete metallica di sette metri di bassezza etica. Calais è stato per molto tempo una delle porte aperte per i viaggiatori del mondo. Sono almeno 15 i migranti che hanno smarrito la vita in un sacco di plastica. O allora morti di freddo nella cella frigorifera di un camion. A un braccio di mare dalla salvezza inglese.

In Israele la terra è promessa fino a un certo punto e non per tutti. A centinaia i migranti sono stati espulsi, deportati e sfruttati. Diverse migliaia sono detenuti senza poter presentare nessuna domanda d’asilo. C’era una volta l’ospitalità. Il ricordo non cancellato di antiche erranze. Nostro padre era un arameo. L’Egitto è tornato in Israele per traversare il mare dei giunchi. I perseguitati di allora sono adesso aguzzini. La Palestina è una cavia da laboratorio. Lo chiamano controllo globale che in quella zona fa prove di orchestra. Un braccio di mare li separa dall’Europa dei diritti affossati nel nulla. Sudanesi e Eritrei che della regina di Saba e del suo oro erano i portatori. Stranieri si diventa a seconda delle circostanze e dei confini creati dalla politica. La strada di mare porta fino a Gaza dove è difficile pescare come prima. Non oltre i cinque kilometri a causa del blocco marittimo. Dio vide che quanto aveva fatto era molto buono. Da allora non smette di rimediare a suo modo.

Anche quest’anno il 18 dicembre si celebra la giornata mondiale delle migrazioni. Il diritto a partire e quello a rimanere non sono uguali. Viaggiano bene le mercanzie e non parliamo dei capitali. Le armi poi si spostano in prima classe senza prenotazione. Gli umani sono controllati a seconda della carta di credito. Viaggiano scortati dalla paura di non farcela neppure stavolta. La strada del mare è solcata da petroliere e da navi containers sempre più capienti. Gli equipaggi sono come zavorra scambiabile in cambio di più docili ostaggi. I migranti sono oltre 240 milioni e la maggior parte transita dal Sud del mondo. Ciò che li divide dall’altro mondo è giusto un braccio di mare.

Quello che hanno passato eritrei e siriani che fuggono la guerra. E allora prendono la strada del mare.

  • MAURO ARMANINO.
  • Niamey, dicembre 2014.


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