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GUERRA IN SUD SUDAN. ATROCITÀ PAZZESCHE...

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ORMAI UCCIDERE È NORMALE

Padre Daniele Moschetti, superiore dei missionari comboniani in Sud Sudan, ci scrive dalla capitale Giuba, inviando un paio di interviste sulla drammatica situazione. Ne pubblichiamo una, rilasciata a tempi.it (vedi sotto), anche per significargli la nostra vicinanza e solidarietà, in quest’ora drammatica per il paese al quale i missionari saveriani stanno guardando come loro possibile nuovo campo di lavoro. Nel frattempo auguriamo a p. Daniele un buon ritorno in Italia, dove prenderà parte al Capitolo Generale della sua congregazione.

19 Giugno 2015.

Centinaia di migliaia di persone «rischiano di morire di fame», in alcune zone del paese sono rimaste solo le piante da mangiare. Intervista a padre Daniele Moschetti, superiore dei Comboniani in Sud Sudan

In Sud Sudan, su 12 milioni di abitanti, centinaia di migliaia di persone «rischiano di morire di fame», nella contea di Leer la gente è ridotta a «mangiare piante acquatiche», 1,52 milioni di persone sono sfollate, 552 mila hanno già lasciato lo Stato più giovane del mondo, 121.400 persone sono nei campi profughi dell’Onu, altre 300 mila sono a rischio per i nuovi combattimenti tra le due fazioni armate, più di 4 milioni di persone «rischiano di fare la fame e hanno un disperato bisogno di acqua e servizi igienici», «crimini contro l’umanità» sono già stati commessi e i morti sono oltre 50 mila. Sono questi i dati allarmanti rilasciati da Onu, Croce rossa internazionale e Unione Africana. L’ultima notizia (129 bambini uccisi nell’ultimo mese nello stato dell’Unità) è solo una delle «atrocità pazzesche» compiute tra aprile e maggio nel paese, dove dal dicembre 2013 è in atto una sanguinosa guerra per il potere, «subito diventata etnica», tra l’esercito regolare del presidente Salva Kiir (etnia Dinka) e i ribelli del vicepresidente deposto Riek Machar (etnia Nuer). «Il problema è che ora la guerra si sta estendendo a tutto il paese, la situazione è sempre più difficile», afferma a tempi.it Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani in Sud Sudan.

Padre Moschetti, che cosa sta succedendo nei tre Stati di Unità, Alto Nilo e Jonglei?

Da due mesi imperversa di nuovo la guerra nei tre Stati ad alta componente etnica Nuer. L’esercito regolare dello Stato (Sple) sta cercando di riconquistare o difendere città e villaggi, ma ora è tutto più difficile perché è cominciata la stagione delle piogge che durerà fino a novembre. Difficile che prendano le città perché hanno molti mezzi pesanti, che nel pantano di quelle zone non possono muoversi.

Eppure si combatte lo stesso.

Sì, soprattutto nello stato dell’Unità. La nostra comunità, tre sacerdoti e una suora, sono scappati qui nella capitale Juba. Abitavano a Leer, dove nell’ultimo attacco è stato spazzato via tutto: distruzioni, omicidi, anche di bambini, stupri, atrocità pazzesche sono avvenute.

La guerra è confinata a questi stati?

Lo era, ma ora influenza tutti perché la situazione economica è al collasso, i prezzi alle stelle, la speculazione è forte, lo Stato spende per le armi e non per quello che serve alla gente. La popolazione soffre perché la criminalità è aumentata. Anche i soldati, che spesso non vengono pagati, usano le armi per andare a rubare nelle case della gente comune.

Da dove deriva un problema di sicurezza alimentare così diffuso come quello descritto dall’Ua?

Dove si combatte la gente è costretta a scappare nelle paludi o nelle foreste, dove si viene esposti alla fame, perché c’è pochissimo cibo, anzi, quasi niente. Nelle paludi, poi, ci si ammala di malaria. Eppure in tanti lo fanno per sopravvivere, è l’assurdo di questo conflitto.

Intravedi possibilità per la pace?

I due leader non si parlano. Ma se non ascoltano almeno l’Unione Africana il paese collasserà. Nel tempo poi si sono formati altri gruppi di ribelli, non solo quello di Machar, ogni clan ha il suo e iniziano a venire allo scoperto. Ognuno pensa per sé, nessuno per la nazione.

Perché?

Questo paese è giovane, ha solo quattro anni di vita e due li abbiamo già passati in guerra. A luglio festeggeremo un altro triste anniversario. I giovani sono il 70 per cento della popolazione ma vengono mandati al fronte ad ammazzarsi a vicenda. Così l’odio reciproco aumenta. Vedere come i diritti umani vengano calpestati sempre più facilmente è preoccupante, ormai uccidere è normale. Colpa anche del Sudan del presidente Omar al-Bashir, che fomenta la guerra inviando armi ai ribelli e cerca di approfittarsene.

Ormai la guerra è diventata un problema etnico?

Sì. Nei primi giorni del conflitto a Juba sono stati uccisi migliaia di Nuer. All’inizio si diceva che il problema era politico, ma è stato etnico da subito. Dinka contro Nuer e Nuer contro Dinka. Poi qui ci sono altre 60 etnie. Speriamo che la saggezza torni in questo paese e che Kiir e Machar se ne vadano entrambi: ormai hanno perso credibilità.

Non ci sono segnali positivi?

L’impegno dell’Unione Africana, che si è appena riunita in Sudafrica, è positivo. Hanno mandato un messaggio forte ai due leader. Sempre di più poi puntano sulle chiese, specie quella cattolica e anglicana, per raggiungere il popolo. Questo avviene perché siamo più capillari del governo e possiamo arrivare alla società civile. Storicamente la Chiesa ha contribuito al cambiamento di questo paese e per noi questo riconoscimento è importante, perché i leader invece ci hanno sempre snobbato.

Ora però bisogna sbloccare questa situazione, perché sta diventando insostenibile.

LEONE GROTTI.



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