Skip to main content

MARIA VINGIANI / MADRE DELL’ECUMENISMO ITALIANO

Condividi su

Improvvisamente apparve una donna. Una giovane universitaria cattolica che fin dall’adolescenza nella sua città d’adozione, Venezia, ponte tra oriente e occidente, aveva visto attorno a sé una presenza plurale di Chiese e con sofferenza si chiedeva il motivo della divisione tra loro. Per lei che cercava «valori religiosi assoluti a cui orientare una scelta di vita» questo conflitto era una contraddizione intollerabile, che negava l’amore fraterno, cardine delle Scritture ebraiche e cristiane. “Poteva nascerne un disorientamento, o una contestazione – ha scritto negli anni ‘80 nella sua ‘memoria storica’ –, ma ne venne, grazie a Dio, una vocazione: quasi la presa in carico, personale e definitiva, del peso assurdo della divisione dei cristiani”. Una vocazione che ha portato nel 1964 a Roma alla nascita del Segretariato attività ecumeniche (Sae), presieduto dalla fondatrice fino al 1996 quando lasciò il governo dell’associazione pur continuando ad esserne il faro.

UNA PROVVIDENZIALE COINCIDENZA

Maria Vingiani ha “terminato la sua corsa” a quasi 99 anni il 17 gennaio scorso, in quella Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei della Cei alla cui istituzione contribuì in modo determinante. Una “provvidenziale coincidenza”, l’ha definita mons. Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, che ha presieduto l’eucaristia di commiato il 23 gennaio nel duomo di Mestre. Parole grate sono state espresse anche dal pastore battista Massimo Aprile per la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e dall’arciprete ortodosso Traian Valdman per la Diocesi ortodossa romena d’Italia. Accanto a loro il vicario della Metropolia ortodossa d’Italia e Malta Evangelos Ifantidis e il direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso (Unedi) della Cei, don Giuliano Savina. Gli interventi, tra i quali quello di Gadi Luzzatto, figlio di Amos e Laura, due presenze ebraiche storiche al Sae, e quello dell’attuale presidente, Piero Stefani, hanno tratteggiato il profilo di una donna che ha abbandonato tutto per la ricerca appassionata dell’unità.

VOLEVA SAPERE E CAPIRE

Era il 17 novembre 1947 quando Maria Vingiani discusse la sua tesi di laurea all’Università di Padova sul tema della controversia cattolico-protestante. Il cammino era stato lungo. Il Concilio Vaticano II doveva ancora arrivare e per i cattolici era proibito leggere libri dei protestanti, così come frequentarli. Coraggiosa e determinata, non rinunciò a un desiderio che bruciava dentro di lei.

“Volevo capire, volevo sapere”, scrive raccontandosi. Così iniziò un suo percorso di lettura: autori spirituali, controversisti, filosofi del personalismo francese e pionieri dell’ecumenismo tra i quali l’abbé Couturier che la giovane conobbe e aiutò traducendo e diffondendo il materiale della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in arrivo dalla Francia.

Non volendo consultare di nascosto i testi all’Indice la laureanda ne chiese l’autorizzazione all’assistente della Fuci femminile veneziana, e desiderando far emergere alla luce rapporti iniziati nella clandestinità, chiese al suo primo patriarca, Adeodato Giovanni Piazza, l’autorizzazione a visitare i luoghi e a partecipare ai culti evangelici. Nel rievocare queste domande, Vingiani teneva a precisare che non la muoveva tanto «il bisogno del permesso, ma del diritto a vivere responsabilmente nella Chiesa una ricerca o una vocazione, in libertà di coscienza».

Presto Maria entrò a far parte – unica cattolica – di un gruppo interconfessionale che rifletteva sui problemi cittadini e divenne assessora alle Belle arti del Comune di Venezia nella prima amministrazione di centro-sinistra, ruolo che la portò anche a viaggiare nei paesi dell’est dove conobbe la “Chiesa del silenzio”.

A ROMA CON RONCALLI

Quando Angelo Giuseppe Roncalli, eletto papa, lasciò Venezia e indisse il Concilio Vaticano II Maria Vingiani lo seguì per partecipare al grande movimento di preparazione dell’assise. Questo comportò, come insegnante, chiedere il trasferimento a Roma, e come amministratrice lasciare l’attività politica. Nella capitale iniziò a frequentare gli ambienti attorno al Concilio e a ospitare incontri di dialogo nel suo piccolo alloggio. Mentre a Venezia aveva formato un piccolo gruppo ecumenico, a Roma suscitò un gruppo di cattolici interessati al dialogo che iniziò a programmare quelle sessioni estive nate prima dell’avvio ufficiale dell’associazione sotto la denominazione Sai (Segretariato attività intercontinentali), in quanto il termine ecumenismo era ancora sospetto.

Anche a Roma Maria riuscì a valicare barriere: rendendosi conto della teshuvà che la Chiesa cattolica doveva compiere nei confronti del popolo ebraico, riuscì a far incontrare – “aggirando resistenze curiali” – lo storico ebreo e amico Jules Isaac con papa Giovanni XXIII. Un incontro che fu alla base di un capovolgimento di prospettiva che portò anche alla redazione del n. 4 della dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Con questo documento si poneva ufficialmente fine a quell’“insegnamento del disprezzo” che aveva alimentato l’antigiudaismo e si riconoscevano i doni dei padri e delle madri nella fede e la fecondità di una relazione con l’ebraismo vivente.

Vingiani ha sempre sostenuto la riconciliazione tra ebrei e cristiani come requisito essenziale per l’unità tra le Chiese che, tutte e indistintamente, hanno le loro radici nel popolo di Israele.

UN’ASSOCIAZIONE LAICA E DEMOCRATICA

Lavorando alla costituzione del Sae, la fondatrice lo finalizzò al dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano e lo volle laico, a differenza delle altre associazioni che erano dotate di un assistente ecclesiastico. Si diceva contraria a quella sorta di sudditanza spirituale di laici e laiche nei confronti del clero. Pur avvalendosi di presbiteri o religiosi che come consulenti ed esperti hanno arricchito l’elaborazione teologica e la spiritualità del Sae, escluse la partecipazione del clero tra i soci per favorire laiche e laici nel vivere il loro impegno ecumenico in autonomia. L’autofinanziamento stesso garantiva questo orientamento che non era dettato da autoreferenzialità, in quanto l’associazione non era stata pensata fine a se stessa ma, secondo lo statuto, “a servizio del rinnovamento ecumenico delle Chiese e comunità locali”.

Un altro valore fondamentale, la democrazia, è stata l’attenzione di Maria che annotava nella sua “memoria storica” – presentata nel 1987 alla XXV sessione di formazione ecumenica del Sae –  “una svolta organizzativa importante” che avvenne nel 1969: le elezioni del primo Consiglio di presidenza dopo un primo triennio sperimentale dello statuto. Nella riflessione della fondatrice questo momento, che ha accentuato “la peculiarità laicale, autonoma e democratica”, ha anche favorito l’evoluzione del Sae da iniziativa confessionale a movimento interconfessionale con l’iscrizione di socie e soci evangelici, ortodossi e anche ebrei.

UNA LAICA “ADULTA” E INDIPENDENTE

Donna determinata e autorevole, Maria ha iniziato a operare in una Chiesa nella quale le donne erano relegate a certi ambiti e ruoli e non erano riconosciute nelle loro competenze intellettuali e teologiche. È entrata nelle stanze vaticane dialogando non come soggetto inferiore compiacente l’autorità ma come parigrado e con la stima e il sostegno del card. Agostino Bea, l’amicizia del segretario di Giovanni XXIII, Loris Francesco Capovilla, e la simpatia dello stesso Angelo Giuseppe Roncalli di cui ricordava nel periodo veneziano la “cordialità affettuosa e paterna”.

Due episodi denotano l’indipendenza intellettuale e spirituale di Maria di fronte a dinamiche coercitive. Il primo fu la scelta di abbandonare il centro congressi della Mendola, prima sede delle sessioni di formazione ecumenica estiva, quando le fu offerto da parte dell’Università Cattolica, che lo gestiva, la collaborazione nel realizzare le sessioni a condizione che fosse la Cattolica a scegliere i relatori tra i suoi docenti. Il secondo episodio riguarda Napoli, dove il Sae dal 1971 aveva trovato un’ospitalità serena nella comunità dei gesuiti di Cappella Cangiani ma non la simpatia dalla Chiesa locale verso le attività e coraggiose mozioni prodotte dalle sessioni di quegli anni, sgradite anche alla Cei. Maria tirò dritto, anche quando le fu richiesto di non ospitare come relatore dom Giovanni Franzoni, abate di San Paolo fuori le Mura.

All’annuncio della morte di Maria Vingiani non si contano gli articoli pubblicati in ambito laico, cattolico ed evangelico. Il card. Bassetti ha riconosciuto che “la sua voce di donna, laica, testimone del Vaticano II, chiamata alla costruzione dell’unità visibile della Chiesa, è stata un prezioso dono per far comprendere quanto prioritario era il cammino ecumenico per i cristiani”. Il teologo valdese Paolo Ricca l’ha definita principale artefice dell’ecumenismo in Italia e sua maestra: “È lei che mi ha aiutato a vincere le mie resistenze, perché tutti portiamo fatalmente con noi delle resistenze. Quindi ho nei suoi confronti, anche personalmente, una grande e indimenticabile gratitudine”.



Per scaricare la rivista accedi con le tue credenziali d'accesso o abbonati.

Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito