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Domande a Enzo Pace e Lucrezia Pedrali ed esperienze condivise

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Le persone s'incontrano nel mondo digitale e iniziano una relazione virtuale senza mai rivelare il proprio volto. Con Internet le distanze si sono accorciate e il lontano è divenuto a portata di mano. Paradossalmente il classico "prossimo", quello accanto a noi, si è invece allontanato.

Una domanda per il professor Pace, in quanto sociologo: qual è la modalità di presentazione della Parola oggi più accettata, più accettabile da parte della gente? C'è una modalità che forse noi predicatori, noi pastori, potremmo utilizzare per farci ascoltare?

Professor Enzo Pace: Non ho evidentemente la ricetta per dire quale sia la modalità di presentazione della Parola oggi, non ne ho neanche la competenza. Mi pare da ciò che vedo (in Italia e all'estero) che oggi sia efficace una Parola che riesca a diventare vissuto non solo degli individui, ma di una comunità. Questo implica, però, la necessità di restituire anche ai laici il diritto di parlare della Parola. La presentazione della Parola deve cercare di esprimere il modo in cui essa viene intesa dal vissuto delle persone ("in risonanza a", diceva p. Ferrari, cfr. p. 26) e come questa diventa comunità. Parola e comunità, mi pare, siano (con lo sguardo del sociologo) gli elementi che funzionano meglio.

Ricordo il mio approccio con la Bibbia come un momento non bello. Ricordo la dottrina, il catechismo. Qui ho sentito cose interessanti, ma, mi pare che non vengano offerte alternative ai giovani, agli adolescenti, ma anche ai bambini; né la scuola, né le parrocchie, né i gruppi di base, né i movimenti hanno liberato la Parola. La Parola è ancora incatenata a una concezione moralistica, a come comportarsi. Per cui l'adolescente o il bambino non potranno coglierne la bellezza. Non vedo ancora nessuna mediazione. Probabilmente un adolescente può scoprire la Parola da adulto, forse nel dolore. E non vi ho colto la risonanza poetica. Chiederei alla prof.ssa Pedrali se può approfondire il valore della narrazione in sé.

Lucrezia Pedrali: L'approccio alla Bibbia in realtà è da catechismo e quindi sostanzialmente respingente, soprattutto in un'epoca in cui i giovani, i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti sono esposti a modelli di comunicazione estremamente seduttivi. Quindi alcune modalità di trasmissione non funzionano più. Il mio è un punto di vista assolutamente parziale, di chi lavora nella scuola, fa l'insegnante e si occupa essenzialmente di lingua. Ma non ci si sottrarre a una prospettiva pedagogica ed educativa; non accade a caso che si ricomincia a parlare di Bibbia. Qualcuno deve cominciare a indagare su come funzionano i processi di conoscenza - e qui servono anche competenze tecniche - e poi svilupparli in una intenzionalità, in un progetto educativo. Allora l'idea di CEM (ma non solo) è quella di riportare a tema nella scuola, ma anche in mille altre esperienze possibili - una modalità di conoscenza, di esplorazione, di ri-conoscimento di quanto di fondativo c'è nella vita concreta di tutti noi. Posso esemplificare. Esistono libri straordinari che bisogna dare in mano ai nostri bambini fin da piccoli. Ho assistito a una discussione fra tre bambini appartenenti a tre religioni differenti (un cattolico, un ortodosso e un musulmano), i quali di fronte a un libro illustrato che mostrava la storia dell'Arca di Noè, rivendicavano l'appartenenza di quel personaggio ciascuno alla propria tradizione religiosa e chiedevano a me di dirimere la questione. Perché tutti e tre avevano riconosciuto la storia. Il pensiero narrativo non si affida solo alla storia, ma alle storie, perché esse sono inserite in un prima, un durante e un dopo dando una prospettiva di lettura. Quindi la più seduttiva in questo momento è la prospettiva narrativa, fino a quando naturalmente alle scuole superiori è possibile accostare i problemi culturali che nascono e possono essere anche letti in rapporto alla Bibbia.

Come si narra? Perché bisogna narrarlo, cioè deve diventare questa riflessione dentro il lavoro di scavo, ad esempio, delle parole con un dizionario di etimologia. Mi porta in primo piano una riflessione che ha a che vedere con la Bibbia; un lavoro, per esempio, sul linguaggio di una certa generazione che utilizzava in maniera divertente il latino e che ha pedagogicamente insegnato, attraverso una serie di detti che venivano dalla liturgia. C'è un libro scritto da un grande linguista, Gian Luigi Beccaria, dal titolo "Sicut erat" (Garzanti, 1999). A scuola queste cose si possono insegnare.

Ma la domanda va riportata su un piano di vita anche esperienziale, concreta, culturale. Perché più fondata è la proposta, più nobile è la proposta culturale - quindi un'indagine critica, estetica con l'educazione alla bellezza, alla sonorità della Parola, ma alla musicalità; far sentire che cos'è il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi. Cioè riportare i grandi modelli culturali che sono nati a partire da una rilettura della Bibbia che ha a che vedere con noi. Portare la cultura nella scuola vuol dire anche portarci la Bibbia. Il modello in questo momento è quello narrativo.

D'altro canto non possiamo ignorare che accanto alla narrazione della parola ci sono narrazioni affidate all'immagine, come i grandi film o opere musicali. Ma hanno bisogno di mediazione. Perché non partire dall'esperienza della musica coi giovani, ad esempio? La Buona Novella di Fabrizio De Andrè ha a che vedere moltissimo con la Bibbia. Non parlo nemmeno delle grandi discipline, di storia e filosofia, perché di quelle è intrisa: si fa tanta Bibbia anche facendo fisica a scuola. È ben lì che si deve fare. Non nelle specializzazioni di una qualche ora - che pure ha tutta la legittimità d'esserci - ma nella quotidianità, nei riconoscimenti culturali quotidiani.


ESPERIENZE CONDIVISE

LE BELLEZZE DELLA BIBBIA

Sono un prete, ma sono anche insegnante di scienze in pensione. Mi capita che ex colleghi, o di scienze o di religione prevalentemente, mi invitino a scuola a parlare soprattutto di ciò di cui mi sto occupando in questo periodo: l'ambiente, la pastorale del creato.

Vorrei in questa sede comunicare la sorpresa e anche la gioia - dei ragazzi, ma anche degli insegnanti - di fronte a un approccio alla Bibbia purificata dai "fondamentalismi scientifici" o "storici". Quando, per esempio, si presenta il racconto delle origini, in fondo come un progetto di bellezza per la terra, non come il racconto di ciò che è successo. Io dico: "Questo chiedetelo agli insegnanti di scienze, che sono più bravi della Bibbia. La Bibbia vi presenta un progetto di bellezza, che anche voi dovete costruire". Oppure il sogno di Isaia, che è un progetto di pace universale: trasformare le armi in strumenti di bene, la pace con gli animali, ecc. Oppure recuperare anche il testo delle beatitudini e soprattutto la prima, la beatitudine della povertà e coniugarla con la sobrietà, con i temi legati anche all'economia della decrescita. Ecco io vedo la gioia, la soddisfazione di queste persone nello scoprire nella Bibbia virtualità, se letta con un certo criterio ermeneutico - usiamo la parola difficile -, impensate (Don Gabriele).

LA BIBBIA ALL'UNIVERSITÀ

Sono venuto a questo convegno perché volevo sentire una risposta alla domanda: "C'è ancora posto per la Bibbia?". Mi aggancio al tema della scuola e dei giovani, perché insegno teologia all'Università Cattolica a Brescia. I miei studenti diventeranno insegnanti, psicologi o sociologi. Nell'ambito del primo anno di corso è prevista una tematica che riguarda la Bibbia. Riconosco che esiste un analfabetismo di ritorno, nel senso che i ragazzi hanno dimenticato ciò che hanno imparato nei primi anni a catechismo. Anch'io mi dedico a questa rialfabetizzazione di tipo biblico, che significa appunto farli avvicinare al testo, mostrarne la struttura, la formazione, i metodi di interpretazione, i generi letterari. Per noi cattolici è importante sapere che cos'è la Bibbia e che cosa ci dice oggi. Io considero la tematica della Bibbia  come una risposta ai bisogni, alle domande esistenziali.

Dopo aver fatto questa introduzione biblica, per quanto riguarda l'esame, normalmente dò loro la possibilità di studiare  un brano biblico e di esporlo. Vi dico che vi riescono molto bene. Se un domani questi studenti saranno insegnanti, penso che debbano conoscere qualche elemento della Bibbia. Almeno alcuni metodi e generi letterari (Don Giovanni)

Il CANTICO DEI CANTICI È NELLA BIBBIA?

Faccio il "mestiere" (mi piace dire la parola) di insegnante fra Mantova e Cremona. Insegno filosofia in un liceo, ma per tanti anni ho fatto la maestra elementare. Prima osservazione: anch'io condivido la necessità di ritornare alla Parola di Dio, credo che dovremmo sempre più avere attenzione all'essere immagine di Dio, e Dio maschio e femmina li creò.

Seconda osservazione: si ama e si ascolta la Bibbia  come Parola se si fa silenzio. Dovremmo riflettere di più sulla necessità del silenzio e sul bisogno che di esso hanno i giovani. Non lo dicono, non lo comunicano, perché hanno sempre le orecchie coperte dalle cuffie per sentire la musica.

I giovani hanno bisogno degli adulti, di donne e uomini che siano intellettualmente onesti, ma non saccenti. Frequenteranno anche l'Università Cattolica e saranno bravissimi a fare l'esercizio biblico, ma ciò non significa accedere alla Parola di Dio. Quest'anno ho vissuto una piccola esperienza: a un certo punto del percorso, abbiamo letto il Cantico dei cantici. Alcuni ragazzi hanno detto: "Non pensavamo che fosse un argomento biblico". Non pensavano cioè che l'amore sponsale fosse un argomento biblico. E pensare che frequentano da anni l'ora di religione!

Questo non dipende dal programma, ma dalle persone. Ne sono sempre più convinta. Dovremmo avere più coraggio e appassionarci un po' di più.

Abbiamo bisogno di  avere dentro di noi una speranza e di poterla comunicare ai ragazzi. Perché spesso questi sono profondamente disorientati, a volte sono addirittura cinici, disincantati. Talvolta mi dicono: "Ma lei, prof, ha troppa fiducia, troppa speranza". Sono occasioni in cui mi sembra che i ruoli siano capovolti: sono io a sembrare "giovane" e loro "anziani"... 

Mi chiedo allora che cos'è andato storto. Credo che la nostra società sia profondamente malata. I giovani ce lo dicono. Forse non conoscono le parole per dirlo, perché noi adulti da troppo tempo le abbiamo rubate e li abbiamo condannati all'afasia, diventando sordi e di dura cervice (Marzia) .



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