l’interculturalità deve essere un paradigma nuova della missione, anzi deve essere un nuovo nome della missione attuale, perché l’interculturalità è una testimonianza di vita nella quotidianità, una fraternità universale dell’unità nella diversità.
L'INTERCULTURALITÀ: NUOVO NOME DELLA MISSIONE
In un mondo sempre più piccolo, la convivenza pacifica delle culture richiede nuovi codici per un miglioramento della collaborazione e della solidarietà tra i popoli della terra, diventati ormai interdipendenti. La globalizzazione, che caratterizza il mondo post-moderno, ha reso il mondo un unico villaggio, accorciando le distanze che separavano gli angoli della terra. Grazie ai media e altri mezzi di comunicazione, grazie agli attuali mezzi di trasporto, nessun gruppo è rimasto isolato.
Dall’inizio della nostra età contemporanea, si sono verificati tanti fenomeni assai significativi che hanno cambiato i rapporti tra le culture, o meglio tra gli stessi esseri umani, ad es. la fine della colonizzazione, l’internazionalizzazione dei rapporti politici ed economici, la mondializzazione dei sistemi informativi e dei mass media ecc. Questo non poteva non avere come conseguenza la globalizzazione delle relazioni culturali. Tanti cambiamenti radicali avvenuti nel mondo e nella società hanno cambiato anche la mentalità delle persone. I fenomeni delle migrazioni e degli spostamenti di massa, in molti casi forzati dalla guerra, dalla violenza, dai cambiamenti climatici, dalla persecuzione religiosa, dalla povertà e altre situazioni, causano flussi massicci di persone da una parte all’altra del globo, alla ricerca di una vita migliore.
Tanti popoli dei diversi angoli della terra si trovano insieme sullo stesso territorio, ognuno con la sua cultura, storia, valigia culturale portata dalla propria terra. Per questo oggi tutti ci troviamo in un mondo già multiculturale.
L’interculturalità però, non viene in modo automatico nella società come la multiculturalità. È una ricchezza e, nello stesso tempo, una grande sfida. L’interazione tra culture diverse è un progetto d’insieme. Tutti devono contribuire a questa cultura d’incontro, con una conoscenza reciproca, un interessarsi reciproco, accettando che ognuno abbia qualcosa da dare e da ricevere dall’altro. È necessario anche avere una memoria plurale, che tenga conto della complessità degli elementi che ci compongono.
- La multiculturalità è un dato di fatto ma nessuno l’ha programmato. La monoculturalità o l’omogeneità culturale non esiste più anche se qualcuno la rimpiange. In questo cambio epocale, l’interculturalità diventa l’unica via di uscita per le società multiculturali. Perché, per promuovere la cultura della pace, della solidarietà, occorre uno scambio tra le culture.
Senza dubbio l’interculturalità ha suscitato e continua a suscitare un interesse nella Chiesa, ma soprattutto negli istituti e ordini religiosi, dove le persone consacrate di varie culture si sono trovate nella stessa comunità per condividere lo stesso carisma.
In questi istituti, si deve impegnarsi di più avviandosi verso una “nuova pentecoste” per evitare di cadere in una “altra Babele”, accogliendo positivamente la multiculturalità e adottando l’interculturalità come nuovo stile di vita e di fare missione.
Il sud del mondo che era fin all’altro ieri la destinazione del vangelo; dopo averlo accolto è diventato anche centro di animazione missionaria. La missione che era unidirezionale è diventata multidirezionale. Nella Chiesa del Vaticano II, ogni evangelizzato è anche evangelizzatore, si viene evangelizzato per evangelizzare.
Oggi l’evangelizzazione s’incrocia con obbligatoriamente con il processo dell’interculturalità, per cui anche la formazione dei futuri ministri e missionari deve passare attraverso questo arduo incrocio, per potere avere la competenza di testimoniare coerentemente e efficacemente il vangelo in mondo sempre plurale.
Sicché bisogna accogliere l’interculturalità prima di tutto come grazia, dono che diventa progetto di vivere e di annunciare il Vangelo. Le persone consacrate poi, per la loro vocazione sono chiamate ad essere costruttrici di comunione anche tra le culture diverse.
Questa comunione inizia nelle rispettive comunità, tra i membri della comunità religiosa-missionaria, privilegiando l’accoglienza, l’ascolto, lo scambio delle differenze. Questo scambio è possibile quando c’è riconoscimento della dignità dell’altro. Nelle comunità delle persone consacrate, il riferimento per il vivere insieme non è qualche sentimento umano come la simpatia, ma un valore più alto che è l'elezione da Dio. Così che la vita di queste persone diventa un messaggio chiaro per tutti quelli che le incontrano.
Per vivere l’interculturalità e annunciare il Vangelo nella società multiculturale odierna, occorre acquisire una mentalità di cambiamento. Un’inversione di rotta che è possibile solo se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, forse meglio viaggiare su un binario aperto, senza perdere sé stesso e nello stesso tempo senza chiudersi all’altro. È una chiamata ad uscire da me stesso, a mettermi in ascolto, un ascolto che senza altro mi cambia.
Ci possiamo ricordare anche nei vangeli post-pasquali, il Cristo risorto appare riconoscibile solo nell’altro: nel giardiniere, nel pellegrino di Emmaus, in un estraneo presso il lago. Nell’episodio di Emmaus il forestiero, colui che non sa nulla di quanto è avvenuto a Gerusalemme, diventa addirittura la chiave di interpretazione dell’interra vicenda della passione, morte e risurrezione di Gesù; questo episodio è un esempio di come l’altro, il forestiero cessa di essere minaccia e diventa il tramite, l’interprete, colui che mi traghetta dal mio io alla verità che è più grande di me stesso.
Come disse Thomas Merton, “nessuno uomo è un’isola”. La nostra vita non è più concepibile senza l’altro. Visto i cambiamenti avvenuti nella nostra società, ancora ad una alta velocità,