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Zio Savio, una luce per la vita

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Padre Savio Corinaldesi era mio zio, cugino della mia mamma che ci ha lasciato esattamente una settimana prima di lui. Sono sempre stati molto legati, avendo la stessa età ed avendo vissuto nella stessa famiglia fino a che zio, nel 1948, all’età di 12 anni, non si trasferì nel vicino seminario Vescovile di Jesi (AN) per iniziare i suoi studi al ginnasio. Rientrava a casa quando possibile, creando sempre un’atmosfera di festa.

Zio continuò e terminò i suoi studi, maturando la vocazione missionaria “grazie a dei contatti avuti con dei missionari di passaggio”. In quegli anni la famiglia patriarcale si separò: i suoi fratelli, sorelle, cugini e cugine, formarono nuove famiglie, ma i legami non si spezzarono. Zio già da allora inviava lettere a tutti i nuovi nuclei familiari che si erano venuti a creare, con informazioni e riflessioni sul suo percorso di vita, con quell’ironia che lo ha da sempre contraddistinto, senza dimenticarsi nessuno, curioso delle novità che stavano sbocciando. Mai si ruppero i legami con la sua terra nativa e la diocesi che lo aveva custodito. Le notizie, infatti, arrivavano anche ai suoi compagni di studi.

Nel 1959 zio presentò la domanda per la sua prima professione nell’istituto Saveriano. Scriveva: “Ora la decisione è presa ed il pensiero che, a guidarmi in essa, fu solo la ricerca della Divina volontà… Non è molto quello che do all’istituto e, per esso, alla Chiesa; dando me stesso però mi conforta la considerazione che quel poco che offro è tutto quello che ho”.
Parole libere, profonde, puntuali, precise, ricche nel loro significato, parole di un innamorato di Dio e della sua Chiesa, alla quale si dona incondizionatamente; parole che indicano il motivo del cammino da percorrere: far giungere a tutti la buona notizia della Misericordia. Il 15 ottobre 1961 fu ordinato presbitero a Parma nella Casa Madre dei Saveriani.

E poi è arrivato il momento della prima messa nella sua diocesi di origine nella chiesa di campagna a Coppetella, frazione di Jesi. Mia madre ricordava che tantissime persone parteciparono alla funzione fino ad occupare anche lo spazio fuori della chiesa, rimanendo colpite dal modo di comunicare sereno, gioioso, diretto, chiaro, profondo e coinvolgente. Pochi mesi dopo era già in Spagna ed è li che nel 1968 ricevette la notizia della sua destinazione alla missione in Amazzonia.

Il mio legame affettivo con zio, nato dai racconti in famiglia, è proseguito poi attraverso le lettere che arrivavano dal Brasile. Questa allettante figura si è radicata così nel mio cuore! I miei primi ricordi sono del postino che arrivava dicendo “notizie da Savio”, mentre porgeva quelle buste dai bordi colorati, leggere e che solo da lontano potevano arrivare. Venivano aperte con attenzione e il loro contenuto letto tutto d’un fiato.

La notizia si diffondeva veloce nel piccolo paese e in tanti venivano in casa per avere notizie. Così, la lettera veniva letta e riletta… E noi bambini lì ad ascoltare incantati questi racconti, come una favola che narra di viaggi avventurosi e fantastici nella foresta dove non c’erano case ma capanne, dove vivevano bambini poveri che attendevano gioiosi l’arrivo dei missionari. E questo lieto fine ci rendeva felici e al tempo stesso curiosi. 

Finalmente, arrivò la lettera che annunciava l’arrivo di zio in Italia: lo avrei conosciuto! Ricordo il clima di festa che la notizia portò. Ogni famiglia si attivava, si preparava per averlo in casa almeno per un pranzo o per una cena. E le varie comunità con le quali era sempre rimasto in contatto organizzavano incontri in spazi più grandi dove tutti potessero ascoltarlo e dove noi come famiglia eravamo invitati. Mi era oramai chiaro che zio Savio doveva essere un prete con tante qualità. Non riuscivo ad immaginare la sua figura. Del nostro primo incontro mi colpirono i grandi occhiali sul suo viso rotondo e simpatico, ma soprattutto il sorriso mentre mi veniva incontro a braccia aperte. In quel momento mi sentii importante. Fu l’inizio di un legame che è cresciuto e si è approfondito nel tempo e, nonostante la distanza, c’era ed esisteva nell’attesa di rivedersi.

Venne anche per me il periodo della prova. Non riuscivo più a vedere la strada della mia vita, tutte le mie certezze non c’erano più. Era buio! Anche Dio sembrava mi avesse abbandonata! Ma là, nel mio cuore, c’era zio, una piccola luce fioca e lontana, in Brasile. Gli telefonai. Non sapevo cosa dire e cosa chiedere.
Anche il suo silenzio mi trasmise forza, restai attaccata a quel filo di acciaio. Con fermezza e dolcezza mi accolse senza mai un giudizio, ma solo con nuove, fondate e motivate proposte. Il pianto lasciò sempre più spazio alla serenità. Ad uno zio chiesi aiuto, ma ho trovato e imparato a conoscere il vero Dio! E ringrazio Il Signore per averci fatto dono, poi, di trascorrere con mio marito due lunghi periodi accanto a zio in Brasile nel 2009 e nel 2011.

Là abbiamo avuto la conferma del suo spessore di persona: possessore di un’ampia e svariata cultura, profondo pensatore, intuitivo, diretto, concreto, aperto ad ogni nuova sfida, il volto sempre sereno dal sorriso accogliente, instancabile camminatore, arrivava a tutti. Lo stile di vita essenziale lo rendeva credibile, sapeva ascoltare e far riflettere attraverso domande acute per arrivare, senza pregiudizi, a vedere la realtà quotidiana da un punto di vista nuovo e inaspettato. Con paterna attenzione riusciva a cogliere anche la più piccola necessità della persona e con delicatezza si preoccupava di risolverla. I più poveri, gli ultimi erano i suoi prediletti. La porta del suo ufficio era sempre aperta e fino a tarda notte la luce restava accesa. Riservato nel mostrare i suoi profondi sentimenti, schivo ai complimenti, nulla tratteneva per sé e attraverso la sua ironia traspariva la sua sconcertante umiltà. Tutto gli veniva donato e tutto ridonava: la lieta notizia della misericordia arrivava dritta al cuore di ognuno…

Fecero capolino i primi tremori che portarono poi alla diagnosi di “morbo di Parkinson”. Il suo Signore gli porgeva la croce… Accettò con lucidità, coraggio e pazienza, affrontando nel tempo le varie problematiche che emergevano con razionalità. Non nascose la sua malattia, anzi ne diventò testimone e la trasformò per rivendicare il valore e il ruolo nella società di ogni persona anche se malata o minorata.
Per alcuni anni continuò il suo lavoro in Amazzonia, imparando a convivere con “il suo amico Parkinson”. Fino a quando nel 2014, decise di tornare in Italia, a Parma, per essere curato. Quella di lasciare il Paese di adozione che tanto amava, ben cosciente che non sarebbe più tornato, fu una decisione difficilissima nel momento della sua massima fragilità. Da un suo scritto ho capito che lo abbia aiutato la riaffiorata nostalgia di luoghi e persone della sua terra natia alla quale sentiva di appartenere.

In un’intensa vita comunitaria, ha continuato a dare il suo contributo di fronte ai cambiamenti richiesti dalle nuove realtà per una Chiesa aperta al mondo. Il suo “amico Parkinson” aveva ignorato che zio appartiene a quella “razza di persone che produce frutti anche quando sono inchiodate ad una croce”. Costantemente, in questi anni, abbiamo trascorso alcuni giorni insieme a lui, consapevoli di ritornare alla nostra vita arricchiti. Ed ogni saluto era sempre un arrivederci.

Zio, sapevi che ci saremmo rivisti per la Santa Pasqua. Non ci hai aspettato, all’improvviso ci hai lasciato, come desideravi tu, senza disturbare… Il mio cuore ora è smarrito, ma confortato dal vivo ricordo, dalla tua tenerezza capace di catturare con un semplice sguardo la profondità dell’anima.   
Dal cielo benedici me, la mia famiglia, la tua famiglia, i tuoi confratelli saveriani e tutti quelli che ti hanno conosciuto ed amato. Ciao zio!




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