Scuola di missione: Strane ragioni per partire
Nella sua prima lettera dal Giappone, il 5 novembre 1549, Saverio si augura di imparare presto la lingua, in modo da parlare delle cose di Dio in modo efficace: “Ora stiamo tra loro come statue, perché essi parlano con noi di molte cose e noi stiamo zitti, non comprendendo la lingua. Siamo come fanciulli che imparano a parlare, e piacesse a Dio che fossimo uguali a loro anche nella semplicità e purezza d’animo!”.
Poi il Saverio fa un ragionamento strano sulla sua situazione spirituale. Scrive così: “Dio ci ha fatto una grande grazia nel portarci in questi luoghi di pagani. Noi non abbiamo in chi poter confidare e sperare se non in Dio, dato che non abbiamo qui né parenti né amici
Perciò siamo costretti a riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia in Cristo.
Nei luoghi dove il nostro Creatore e Signore è conosciuto, le creature sogliono essere causa per farci dimenticare Dio e di impedimento, come è l’amore del padre e della madre, degli amici e conoscenti, oppure l’amore per la patria e l’avere il necessario, sia quando siamo sani sia nelle malattie...
Ma ciò che più ci obbliga a sperare in Dio è la mancanza di persone che ci aiutino nello spirito. Qui, in terre straniere, Dio ci concede la grazia che le creature ci costringono e ci aiutano a non dimenticare di riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia nella sua divina bontà.
Nel considerare questa grande grazia che Dio ci fa, rimaniamo confusi. Noi pensavamo di rendere a lui qualche servizio, venendo in questi luoghi per accrescere la sua santa fede, ma adesso ci ha fatto capire la grazia immensa che ci ha concesso nel condurci in Giappone, liberandoci dall’amore di molte creature che ci impedivano di avere maggiore fede, speranza e fiducia in lui..”.
Le parole di Francesco sono sorprendenti. Il lasciare la propria cultura, la fatica di imparare lingue straniere che rendono i missionari come degli eterni bambini, l’irrimediabile condizione di stranieri e ospiti, più o meno graditi, che viene loro addossata, questa morte culturale richiesta dalla partenza... non sono incidenti di percorso, handicap da togliersi di dosso quanto più presto possibile. Infatti, come si fa a togliersi di dosso la propria morte?
Sono invece una condizione privilegiata per quella crescita nel rapporto con Dio; sono la costrizione a riporre ogni fiducia, disperatamente sperando, solo in lui, che permette ai missionari di essere strumenti non inutili per la diffusione del vangelo.
Quando qualcuno dice ai missionari che partono: “perché andate lontano? c’è tanto bisogno qui!” - i partenti trovano tante risposte valide.
San Francesco ne aggiunge una, che è fondamentale, ed è forse la vera ragione per cui Dio, che può fare tutto da solo, chiama i missionari in terre lontane: per costringerli a confidare solo in lui.