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Partire è più facile che restare

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Sabato 17 ottobre, nel duomo di Brescia, tanti giovani e adulti hanno partecipato alla veglia missionaria. Claudina ha dato la sua bella testimonianza, che pubblichiamo in parte.

Sono della parrocchia di Calino, dove vive la mia famiglia. Ho trascorso circa quattro anni in Kenya (a Nairobi) e poi altri otto anni in Burundi. Più che degli anni trascorsi in missione, vorrei parlarvi delle nostre comunità, che hanno fatto della missione la loro vocazione.

Sono davvero fortunata!

Mi ritengo una di quelle persone estremamente fortunate: partita con l'appoggio della famiglia, degli amici, della comunità parrocchiale e della diocesi di Brescia. Sono partita accompagnata da tanti e sono arrivata accolta dai comboniani e da Gino Filippini, il top della missione. Nairobi è stata una missione dura e intensa. La missione dove "o la va o la spacca". Se una riesce a superare Nairobi, sono ben poche le cose che la fermeranno.

Ho avuto due maestri senza pari: p. Alex Zanotelli è stato una guida importante alla vita di missione; p. Gianni Zampini dei saveriani è stato la finestra sulla missione, e ha saputo farcene innamorare.

L'amicizia, quel sentimento intriso d'amore, è l'arma più preziosa da portare fino ai confini della terra. Abbiamo contagiato d'amicizia tutti, dove siamo stati.

La famiglia con me

Quando si resta impantanati su una collina nel bel mezzo della notte, sapere che quello che ti salverà sono le preghiere degli amici è decisamente confortante. Le comunità devono seguire i loro giovani e le famiglie devono dare serenità a chi decide di partire...

Perché partire è facile, ma restare in terra di missione non è scontato.

Mia sorella e mia mamma sono venute a trascorrere momenti importanti con me, sempre pronte a raggiungermi se le difficoltà e i pericoli si facevano troppo pesanti. Hanno condiviso con me tutto quello che hanno potuto nella speranza di alleggerirne il peso. A mio papà bastava la parola "Qui servirebbe...", e subito quel bisogno veniva soddisfatto.

Con i calinesi e i kenyani

Don Luigi Bonardi, il mio parroco a Calino, è venuto a conoscere la missione dove lavoravamo, a ogni accenno di cambiamento ha fatto sentire la sua vicinanza. Il gruppo missionario e la mia comunità di calinesi sono stati fedeli in questi lunghi anni di lontananza fisica.

I kenyani sono impossibili da dimenticare. Mi hanno insegnato a "non serbare rancore", a litigare e discutere anche animatamente, ma finito lo scontro verbale, a riabbracciarsi e ripartire lasciandosi alle spalle ogni recriminazione. Ed è una sensazione bellissima, di totale libertà. Hanno corretto il mio grave difetto di "distruggere ad oltranza".

Serve distruggere, ma solo se poi sappiamo costruire. Criticare ciò che è sviato, ma solo allo scopo di raddrizzarlo poi.

Un dolore schiacciante

Il Burundi è stato, logisticamente parlando, più soft. In Burundi ad accogliermi sono stati i saveriani, persone eccezionali. Senza di loro non so cosa avrei combinato. Lì ho vissuto un dolore schiacciante, dal quale non si riesce ad uscire: la perdita degli amici.

So che il sangue dei giusti alimenta il fiume della grazia, so che sono tutti tra le braccia del Padre. Tuttavia, il distacco e la brutalità degli assassini sono pesanti da superare e ci vuole tempo, preghiera e lucidità.

E non sono solo questi i morti che sono costretta a testimoniare e a metabolizzare. Ci sono i bambini, le donne, i ragazzi... A volte il mondo sembra che si stia sgretolando intorno a te. È duro lasciare tutti questi morti alle spalle e andare avanti.

“Siamo una sola famiglia”

A volte sembra che più nulla abbia senso, che il lavoro di rivalsa sull'ingiustizia sia solo dare nuove munizioni alla morte. Ecco allora il “Tutto serve per amare il Signore". Come diceva san Guido Conforti: "Facciamo del mondo una sola famiglia". Siamo tutti una sola famiglia, senza sconti e senza esclusi.

Un consiglio a chi vuole partire: non scoraggiatevi davanti alle difficoltà. Tenete gli occhi puntati sulla Croce e non dimenticate mai per Chi siete partiti.



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