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P. Trevisan, con i Kayapò ai piedi della Madonna

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Ho conosciuto p. Renato Trevisan in Brasile (Amazzonia). Ci trovavamo spesso anche perché la parrocchia dove mi trovavo era proprio sulla ‘strada’ lunghissima e impraticabile nei mesi di pioggia, che portava al villaggio Kayapò dove lui abitava.

P. Renato è stato un grande, uno veramente bravo: un grande prete, un grande missionario, un grande confratello. Dopo alcuni mesi a Brasilia per imparare la lingua, sono stato mandato a Sao Fèlix do Xingù, parrocchia dove p. Renato era stato parroco una decina d’anni prima. Dopo tanti anni, si sentiva ancora il suo nome nei discorsi e nei ricordi della gente. Ho sentito solo parole di elogio per la sua abnegazione, la sua generosità e il suo impegno a favore di quella gente lontanissima dai centri, con strade impraticabili e pochissime infrastrutture.

È stato e ha fatto da ponte tra la chiesa locale (Prelatura dello Xingu) e gli indios Kayapò. Grazie soprattutto a lui e agli altri confratelli che lavoravano con lui, nel 1984 un capo indio Kayapò partecipò alla prima Assemblea del Popolo di Dio nella città di Altamira, sede della Prelatura. Un ponte anche tra gli indios Kayapò e la gente delle nostre città. Il villaggio dove p. Renato risiedeva e operava come missionario faceva parte del territorio della parrocchia dove io ero parroco, per cui la nostra casa era un punto di appoggio importante, l’ultimo prima di arrivare al villaggio.

La situazione non era facile: lo sfruttamento predatorio (mogano e oro) nelle terre indigene avanzava rapidamente senza rispettare nessuno. Molti dei nostri parrocchiani avevano acquistato dallo stato terre confinanti con quelle dei cinque villaggi indios o addirittura anche dentro l’area già demarcata. L’impegno di p. Renato è stato quello di sensibilizzare, attraverso incontri, ciclostilati e dibattiti, la gente delle nostre parrocchie alla realtà dei popoli indigeni, per rispettarne l’esistenza e valorizzarne la cultura. In questo p. Renato si era creato una solida formazione antropologica e linguistica, sapendo anche raccogliere una grande e preziosa collezione etnografica ora al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico a Parma.

P. Renato, attingeva forza dalla Parola di Dio, dalla Preghiera e dall’incontro quotidiano con l’Eucaristia anche all’interno del villaggio, nella capanna dei padri, un poco scostata dal cerchio delle altre capanne del villaggio. Anche per questa sua fedeltà alle pratiche di pietà gli indios lo chiamavano “Wayangare”, cioè “colui che parla con gli spiriti”.
Curava molto l’amicizia con le persone. Anche nel periodo in cui è stato nostro Superiore Regionale, privilegiava il dialogo con le persone più che l’organizzazione e le necessità di riempire i quadri pastorali. Era sempre attento ai bisogni degli altri, sapeva seminare serenità anche nelle situazioni più complicate.

P. Renato era molto devoto alla Madonna di Monte Berico e alla Madonna di Guadalupe, patrona dell’America Latina e in particolare dei popoli indigeni. Lo pensiamo così p. Renato, ai piedi della Madonna che spinge sotto quel manto di protezione tutto il popolo Kayapò e le persone a cui lui si è dedicato e a cui ha voluto bene.



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