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Fr. Faccin, Eucaristia per la gente

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Pubblichiamo l’ultima parte della vita di fratel Vittorio Faccin, martire Saveriano, prossimo beato il 18 agosto.

Il 1964 inizia con la rivolta di Mulele, leader rivoluzionario dei Simba, ribelli marxisti. Rapidamente la rivoluzione si diffonde nell’est del Congo RD: nella pianura di Ruzizi, a Uvira, nella zona dell’Ubembe, lungo il lago Tanganika. Le vittime sono incalcolabili, tra cui quella del superiore dei fratelli maristi (26.6.1964).

Vittorio è nella sua missione di Baraka e da lui abbiamo una nota scritta ai genitori: “Per il momento tutto qui è calmo. Corrono voci che gli amici arriveranno verso la fine della settimana. Noi siamo in attesa. Ciò che avverrà, solo Dio lo sa… Non piangete per noi, ma solo ricordateci nelle preghiere, affinché Dio sia glorificato e ci dia la forza di testimoniare la sua gloria” (25 maggio 1964).
Scrive ancora il 10 giugno: “I bravi sono arrivati… noi non siamo stati toccati. Solo hanno preso le macchine, compresa la bici (ora restituita) e la barca. Hanno promesso di restituire tutto. In questi giorni ci mandano delle guardie notturne per la nostra protezione. È un segno di delicatezza. La tensione è sempre alta. Pregate affinché il nome di Gesù sia glorificato e che la madonna celeste ci protegga”.

Il 19 giugno, Vittorio invia un messaggio alla comunità di Uvira: “Sono rimasto da solo con p. Sartorio. Mai come in questi giorni ci sentiamo soli. Ciò che ci fa pensare di più è che non si vede una via di scampo per un futuro prossimo migliore”. Il 21 giugno arriva un’altra lettera ad Uvira, firmata dai due Saveriani di Baraka: “Ogni sera alcuni di quelli che si ornano con le erbe ci fanno la guardia. Ma sono gentili. Sdraiati per terra cantano canzoni che non sono di guerra. Ci fanno pena… La costruzione della chiesa è finita e ne siamo orgogliosi e presto avremo l’acqua alla missione”. Il 5 agosto Vittorio scrive: “I rivoluzionari continuano a guadagnare terreno. La nostra vita è nelle mani della Madre celeste”.

Gli ultimi mesi prima della morte diventano pesanti. I ribelli ricevono cattive notizie da Bukavu e da Uvira e per vendicarsi tormentano gli innocenti, con detenzione, insulti e minacce. Il 7 ottobre, i missionari ad Uvira vengono liberati e su Baraka arrivano i bombardamenti degli aerei. Fratel Vittorio, lasciato solo per un mese, riceve l'invito del superiore a partire. Ma il fratello ha un soldato di guardia che ha l’ordine di seguirlo in tutti i suoi movimenti. Riceve infine un aiuto con l’arrivo di p. Luigi Carrara, proveniente da Fizi (16 ottobre).

Il 22 novembre 1964, Vittorio scrive l’ultima sua lettera. “Carissimi, per noi è impossibile comunicare con il mondo libero: abbiamo sete di libertà, ma questa quando sarà? Ogni giorno è un giorno di attesa. Ciò che si è visto e sentito in questo tempo è impossibile spiegarlo e resterà sempre nel nostro cuore. La Mamma Celeste che fino ad oggi ci ha assistiti in una forma miracolosa continuerà ad assisterci. Sono certo che usciremo salvi… Continuate a pregare per questa povera gente… Ho ricevuto le calze e i confetti. Grazie. Pregate. Un abbraccio a tutti: babbo, mamma, fratelli, sorella, nipoti, cognati... Vostro in Gesù e Maria, Vittorio”.

Alle 9 del 28 novembre 1964, una camionetta stipata di ribelli arriva a Baraka. Si ferma davanti alla casetta dei padri, vicino alla chiesa. Fratel Vittorio va loro incontro. Il colonnello Abedi Masanga, di vecchia conoscenza, comincia a tirar fuori la storia della radio trasmittente e della politica dei padri contraria alla rivoluzione. Ad un certo punto ordina a Vittorio di salire con lui sulla jeep. Il fratello obbedisce e davanti alla chiesa dice le sue ultime parole: “Non posso lasciar solo il padre a Baraka”. Apre la portiera per uscire.
Il colonnello, accecato dall’odio, spara tre colpi. Raggiungono al petto fratel Vittorio che cade tra la jeep e il piazzale della chiesa. 
P. Luigi Carrara, intento a confessare, esce e si avvia sicuro verso l’Abedi, indossando ancora la stola violacea. Vedendolo arrivare così sereno, l’ira del colonnello si riaccende di nuovo. “Ti porto a Fizi per ucciderti con gli altri padri”. P. Luigi gli risponde calmo: “Se mi vuoi uccidere, preferisco morire qui vicino a mio fratello”. S’inginocchia per pregare. Abedi lo colpisce con la sua arma, a pochi passi dal corpo ormai esanime del fratello.

La morte di fratel Vittorio e di p. Luigi non sono un incidente. Fin dall’inizio, fratel Vittorio si è donato a Dio, a un popolo, a una terra. Un atto d’amore preparato nella vita di tutti i giorni e vissuto in cinque anni di servizio ai fratelli congolesi. Vittorio è un martire, un testimone, secondo l’invito di Cristo: “Sii mio testimone fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Il sangue, versato come fertilizzante nel terreno africano, è la punta più alta del dono di sé e il seme in terra della fertilità. Vittorio era una persona consacrata nel battesimo per versare il suo sangue nel calice e il suo corpo trafitto sull’altare. Così, egli rimane, come Eucaristia, per sempre con le persone che ha stimato e amato.



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