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Nel Paese delle pietre che urlano... per incontrare la chiesa armena

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La diocesi di Ravenna mi ha chiesto di accompagnare come guida spirituale un gruppo di medici e terapeuti pellegrini in Armenia. Così, ho pensato di scrivere alcune riflessioni nate durante il viaggio. Mi è sembrato di essere in Messico, tra un popolo che soffre, nella povertà e nello sforzo costante della non-violenza.

Terra fedele a Cristo

L'Armenia può essere definita davvero "terra della sofferenza" o, come dice il poeta russo Osip Mandelstam, "il paese delle pietre urlanti". Per tanti secoli questo popolo, con la profonda devozione alla Vergine Maria, ha sofferto per affermare la sua fede in Cristo. Nelle chiese e nei monasteri sempre troneggia la Vergine con il Bambino in braccio sull'altare centrale. Forte è stata l'emozione visitando il museo cristiano, dove è conservata la lancia che trapassò il cuore di Gesù in croce. Secondo la tradizione, sarebbe stata portata in Armenia dall'apostolo san Giuda Taddeo.

Il pellegrinaggio è stato un viaggio alle radici cristiane, una possibilità di toccare la reliquia del cristianesimo che ha determinato la cultura armena. Il cristianesimo fu introdotto nel Paese nel I secolo d.C. e si diffuse a partire dall'inizio del quarto secolo. Ogni monumento cristiano assume pertanto un significato intenso e testimonia la fede di un popolo sempre minacciato.

Il dolore e l'arca

Il pellegrinaggio si è sviluppato in due direzioni: il problema del dolore e il tema dell'arca.

Migliaia di croci in pietra - khatchkar - coprono il territorio nelle pianure e sulle montagne: croci nude, che testimoniano la sofferenza di questo popolo fedele a Cristo. Queste croci sono state sottoposte all'oltraggio di antichi e contemporanei vandali, prese a sassate e a martellate, quasi a voler distruggere il Cristo che su quella Croce è morto per vincere la morte. Perché Dio permette la sofferenza, una sofferenza così intensa nel cuore e nella vita dell'uomo? Il dolore e la sofferenza sono realtà così incarnate nella gente che la risposta al saluto di una persona è: "Porto via il tuo dolore".

Visitando e guardando la montagna sacra, il mitico monte Ararat, oggi in territorio turco, ci siamo chiesti il significato dell'arca di Noè: storia o leggenda, mito o simbolismo? Ci siamo quindi avvicinati all'Arca e al racconto della Genesi, il primo libro della Bibbia.

Un volto nero e un volto luminoso

Con il passare dei secoli, questa terra ha visto invasioni e incursioni, stragi e deportazioni, fino a quel tremendo genocidio (inizio del secolo scorso) che ancora oggi in Turchia non può neppure essere menzionato, a rischio della stessa vita. Questo è il volto nero del destino armeno.

Ma c'è anche il volto luminoso: la fede e la gioia di vivere, i canti e i colori, la capacità di integrarsi serenamente con tante etnie diverse, i riti magnifici e complessi, l'amore per i libri, il senso forte per la famiglia e la comunità. E, nel fondo, la nostalgia per il paradiso perduto, con la certezza di un altro paradiso che ci attende.

Insomma, non si comprende la storia degli armeni se non si parte dalla loro fede. È stato il primo popolo a convertirsi al cristianesimo (310-314), con l'annuncio del vangelo che la tradizione attribuisce agli apostoli Bartolomeo e Taddeo. Da allora, la fedeltà a Cristo è "incarnata" nella sua storia.

Il genocidio, una ferita aperta

Nel nostro viaggio, uno dei momenti particolarmente provvidenziali è stato l'incontro con il patriarca Catholicos, che anche papa Giovanni Paolo II aveva incontrato nel 2001. Siamo stati felici per il permesso di celebrare la santa Messa nelle belle chiese armene.

"Quest'esperienza di sofferenza e di martirio - ha scritto il monaco Vertanes Oulouhodjian - ha profondamente segnato la religiosità armena originando pagine di altissima spiritualità, centrate sul mistero della croce e della sofferenza che salva, e sull'incrollabile certezza che nel Cristo Risorto, la morte - sconfitta - cede il passo alla vita".

Nel 1890, nei territori dell'impero Ottomano, vivevano circa 2 milioni e mezzo di armeni. Tra il 1894 e il 1896 più di centomila armeni sono stati uccisi nel corso di alcune campagne di "pulizia", ispirate dal sultano Abdul Hamid II. La "giustificazione" - o meglio, il pretesto - era che queste popolazioni nutrivano uno spirito secessionista ed erano sostenute dai vicini russi, interessati a indebolire l'impero.

Caduto il sultano, sale al potere della nazione turca il gruppo dei "Giovani turchi". Tra il 1915 e il 1916, il nuovo governo lancia una campagna di feroce brutalità. Il risultato è la deportazione e il massacro di oltre un milione di armeni. Uomini, donne e bambini, costretti a lasciare le loro case e i loro averi, molti uccisi per rappresaglia, altri sfiniti dalle marce forzate, altri ancora isolati in campi per deportati, dove sono stati decimati dal freddo, dalla fame, dalle malattie, dalle inutili crudeltà degli aguzzini.



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