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LA PAROLA
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”. Essi risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Allora domandò loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro rispose: “Il Cristo di Dio”. Egli ordinò severamente di non riferirlo ad alcuno. “Il Figlio dell’uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde e rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi. In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio” (Lc 9,18-27).

Luca ci mostra spesso Gesù che, nei momenti decisivi della sua vita, si ritira in luoghi solitari a pregare. Poche volte ci viene detto il contenuto della sua preghiera, ma i fatti che avvengono dopo fanno pensare che proprio di quelli Gesù parlava con il Padre. In questo caso è la domanda che farà ai discepoli circa la sua identità: “Le folle, chi dicono che io sia?”.

Sembra una domanda semplice, ma non lo è. Li aveva chiamati in quella scena grandiosa della pesca sul lago di Genèsaret. E loro, lasciato tutto, lo avevano seguito. Poi venne l’elezione dei Dodici e l’invio in missione. A pensarci bene, il tutto scorre in modo troppo lineare, quasi ovvio. Che cosa li aveva spinti ad andare dietro di lui? In fondo, Gesù non era un personaggio noto come il Battista, non era né sacerdote né scriba. Di lui però è detto, fin dall’inizio del suo ministero a Nazaret, che insegnava nelle sinagoghe e che aveva fatto alcuni miracoli. Ma chi era davvero quel galileo?

Gesù non s’accontenta di essere acclamato e seguito. Desidera sapere dai discepoli che opinione s’è fatta di lui la gente. La risposta ricalca le impressioni di Erode: è considerato alla stregua di un profeta. Lui non li smentisce. Tuttavia non basta. Cosa ne dicono coloro che da tempo lo seguono, vivono con lui e condividono la sua missione? Pietro risponde a nome degli altri: “Il Cristo di Dio”, cioè il Messia, il consacrato del Signore. Una risposta inedita, perfetta, eppure mancante. Per la prima volta Gesù rivela di sé qualcosa che nessuno finora avrebbe immaginato: è anche un figlio d’Uomo, che dovrà patire molto, essere condannato dai capi religiosi e assassinato, per poi risorgere il terzo giorno.

È un’affermazione dirompente che può fare crollare tutte le certezze coltivate fino ad allora. Luca tace sulla reazione di Pietro e degli altri, ma si legge tra le righe lo sconcerto, perfino lo scandalo. Gesù si rivolge non più soltanto ai discepoli, bensì a tutti noi: “Se qualcuno desidera venire dietro di me...”. A quel “se” e quel “me” è appesa la nostra storia, la nostra fede. Non è un obbligo, è un invito che si poggia soltanto sulla parola di Gesù.
Croce, patimento, rinnegamento di sé, perdita della vita, sono termini di morte che raggelano i sogni trionfalistici di folle, chiese e seguaci. Eppure è la strada percorsa da Gesù per ritrovare la sua vita e quella di tutti noi.

Chi cerca di innalzare sé stesso, si rovina. Chi sa perdersi a causa di Gesù e del Vangelo salva sé e gli altri.
Il “buon annuncio” parla il linguaggio della fede, non quello dei valori, parla dell’accoglimento di una relazione prima ancora di una morale o di una virtù da perseguire.



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