La teologia del matrimonio
Il 15 gennaio, il vescovo emerito di Ravenna-Cervia mons. Giuseppe Verucchi ha guidato l’incontro formativo e spirituale dei diaconi di Ravenna-Cervia e di Forlì-Bertinoro su Amoris Laetitia e il ministero del diacono. È stata approfondita la teologia del matrimonio, per scoprire le tante cose buone che Dio ha seminato, perché le facciamo crescere quando amiamo una persona.
Cristiani e indhuisti
Il rito del matrimonio può essere una festa consumistica, se si trascura il mistero dell’amore del Figlio di Dio alla sua chiesa “finché morte non vi separi”. Senza il mistero dell’alleanza d’amore, il patto coniugale è solo ricordo del passato, un album di foto che non influenza la vita coniugale della chiesa domestica. Il segno degli anelli è cammino della vita vissuta insieme.
Alle nozze di Cana, Gesù ha dato il segno del buon vino che allieta la nascita della nuova famiglia, alleanza di Cristo con gli uomini e le donne di tutti i tempi. Nel rito induista dei sette passi intorno al fuoco sacro, gli sposi recitano invocazioni e voti per la loro vita futura. Esso descrive molto bene il cammino del matrimonio.
Superare il grigiore della vita
Il 26 gennaio mons. Mario Delpini, vicario generale della diocesi di Milano, nella sua relazione (Un po’ di coraggio, un po’ di gioia) invita i presbiteri a superare il grigiore della vita nel “tempo della missione”, riconoscendo il tempo della magnanimità di Dio. Il vangelo si propone come la buona notizia che offre speranza, guarisce e aiuta a comprendere il senso della propria vita.
La gioia ha origine nell’esperienza dell’amore di Dio. La domanda più urgente è: “Come possiamo custodire la relazione personale con il Signore, Gesù?”.
L’immagine del “prete triste” tradisce la vocazione di donarsi, come ha fatto Gesù all’annuncio del Regno col celibato nella fraternità sacerdotale. Il celibato è vissuto come “consacrazione in relazione a Gesù Signore”.
La felicità affidata a Dio
La scelta di operare nella povertà secondo il suo disegno d’amore, libera dall’asservimento delle “cose”, vince la ricerca ossessiva dell’approvazione, degli apprezzamenti e la frenesia irrequieta del fare.
Solo affidando l’aspettativa della felicità a Dio, e non a un ruolo da occupare, si vincono le tentazioni di altri scopi, custodendo stili di vita di fratelli e amici. La vita consacrata supera l’ansia di esigenze pastorali, con i passi della grazia di Dio.
Siamo chiamati a vivere la logica del dono nella relazione coniugale o nel celibato sacerdotale.