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La guerra è un affare per… pochi

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Ancora una volta è stato papa Francesco a ricordare la tragica verità: “La guerra sempre è una sconfitta, tutti perdono”. “Tutti no”, ha subito aggiunto. “C’è un gruppo che guadagna tanto: i fabbricanti di armi, questi guadagnano bene sopra la morte degli altri” (Udienza del 29 novembre 2023).

I numeri gli danno ragione. Dall’invasione militare dell’Afghanistan del 2001 al 2021 le principali aziende militari americane hanno visto decuplicare il valore delle loro azioni in borsa: un risultato eccezionale che hanno ottenuto grazie al “fatturato sicuro” garantito proprio dagli investimenti statali per l’acquisto di nuovi e sempre più sofisticati armamenti.
Nel 2022, riporta l'Istituto di ricerche per la pace di Stoccolma (SIPRI), le prime cento aziende produttrici di armi e sistemi militari hanno registrato un fatturato complessivo di 597 miliardi di dollari, in lieve calo rispetto all’anno precedente. Considerato l’incremento delle spese militari in tutto il mondo, compresi i Paesi dell'Unione europea, c’è da aspettarsi che i loro profitti ben presto aumenteranno.

Come si vede dal grafico qui a fianco, le spese militari di tutti i Paesi del mondo sono cresciute dagli anni cinquanta fino al 1990. La caduta del muro di Berlino, la dissoluzione dell'Unione Sovietica ed il successivo processo di distensione internazionale hanno portato ad una graduale riduzione della spesa militare durante tutti gli anni novanta: segno evidente che queste spese si possono ridurre per favorire processi di pace.

La corsa agli armamenti è ripresa invece nel nuovo millennio a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle a New York: la cosiddetta “lotta al terrorismo internazionale”, l’invasione da parte degli Stati Uniti dell’Afghanistan (dal 2001) e dell'Iraq (dal 2003), i conflitti in Libia e in Siria (a partire dal 2011) insieme al clima di generale instabilità sono diventati il pretesto per tutti i Paesi del mondo per aumentare i propri budget militari. Che nel 2022 hanno raggiunto un record storico di 2.240 miliardi di dollari in valori correnti. I principali Paesi per spesa militare sono oggi Stati Uniti (877 miliardi di dollari), Cina (292 miliardi), Russia (86,4 miliardi), India (81,4 miliardi), Arabia Saudita (75 miliardi), Regno Unito (68,5 miliardi), Germania (55,8 miliardi), Francia (53,6 miliardi), Corea del Sud (46,4 miliardi), Giappone (46 miliardi), Ucraina (44 miliardi), Italia (33,5 miliardi), Australia (32,3 miliardi), Canada (26,9 miliardi) e Israele (23,4 miliardi).

Le spese militari vengono spesso giustificate per le esigenze di difesa e sicurezza. Ma proprio l'impossibilità da parte dei principali Paesi occidentali di intervenire militarmente - se non col rischio di innescare un conflitto mondiale - per proteggere uno stato aggredito come l'Ucraina dimostra che l’attuale modello di difesa, basato su crescenti spese militari ed enormi arsenali bellici (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada ricoprono più della metà della spesa militare mondiale) non è adeguato a prevenire e a porre fine ai conflitti armati.

Occorre un’inversione di tendenza che rimetta al centro dell’agenda politica internazionale processi di dialogo, di distensione, di sviluppo sostenibile e di disarmo. È ciò che predica, instancabilmente, papa Francesco, voce inascoltata in un deserto di morte, di distruzione e di profitti per pochi.



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