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Ho conosciuto tante Afriche”

Padre Dovigo, per tanti anni animatore missionario a Salerno, ha scritto questa bellissima lettera che è un libro aperto sull’Africa di ieri, di oggi e di domani. La pubblichiamo per intero, in due parti.

Sogno il paese della pace, nella verità, nella giustizia, nella libertà, nell’amore. Un paese dove si lavora, si gioisce della prosperità; dove il soldato difende il cittadino, lo statale lo rispetta e lo serve, l’insegnante educa con coscienza professionale. Il paese della concordia, dove uomini e donne vivono nella sicurezza, escono di sera senza paura, guardano con fiducia l’avvenire, conoscono i loro diritti e hanno la capacità di farli rispettare. Un paese in crescita, dove si cammina per strade asfaltate e dove le case hanno acqua e luce.

È la città della gioia, costruita da laboriosi costruttori, che credono in nuovi cieli e nuove terre; che ritengono che un altro mondo è possibile; che vivono nella convinzione che Dio cammina nella storia. Il sogno non è solo mio; è di molti. Perciò si trasformerà in realtà.

Ho conosciuto l’Africa...

Negli anni settanta, a Kitutu, in piena foresta, ho conosciuto l’Africa bella, dei colori, dei suoni, della festa, della danza. L’Africa della tradizione, del senso del sacro, del ruolo della famiglia, della parola come relazione, della coesione di gruppo, della terra collettiva, dell’amicizia con la natura, della venerazione e comunione agli antenati, dell’amore alla vita...

Negli anni ottanta ho vissuto nell’Africa cristiana di piccole comunità di quartiere, di  celebrazioni in rito zairese, di gruppi di laici impegnati, d’iniziative di sviluppo, di crescita sociale e politica...

Negli anni novanta, dopo un breve periodo d’entusiasmo per la democrazia, ho visto l’Africa nella tragedia con l’invasione di un milione di profughi ruandesi, e l’inizio e il succedersi di più guerre. Le conseguenze le conosciamo: miseria della popolazione, atrocità ignobili, distruzioni di opere e di coscienze, sofferenze insopportabili... Come altri, ho provato sentimenti di vergogna, di rabbia e d’impotenza.

Vescovo, profeta e martire

Ho conosciuto mons. Christophe Munzihirwa, vescovo di Bukavu, ucciso il 29 ottobre 1996. Con lui ho fatto un viaggio di alcuni giorni nei villaggi sperduti della foresta. Per andarci, abbiamo utilizzato un piccolo aereo. Aveva due camicie, una l’indossava e l’altra la lavava. Si mescolava alla gente ed accoglieva, ascoltava, consigliava.

Diceva sempre apertamente le sue convinzioni, denunciava le ipocrisie, viveva di verità. Tempestava di lettere i responsabili degli organismi internazionali, dicendo quello che pensava, quello che vedeva stando sul posto. Scriveva appelli all’ex presidente statunitense Carter, al segretario dell’ONU, al cardinale di Bruxelles. Chiedeva giustizia e aiuto per tutta la gente del luogo, per i rifugiati, per hutu e tutsi.

A Bukavu, dove si era creato un vuoto di potere, lui il vescovo, era un punto di riferimento anche per la società civile. Pochi giorni prima di essere ucciso, l’avevano consigliato di mettersi in un luogo sicuro. Rifiutò. Il 29 ottobre 1996, verso l’imbrunire, gli fu tolta con violenza la parola profetica. È stato assassinato là, sulla piazza della sua città, da un gruppo di militari... il Romero dell’Africa.

Ricordo una frase scritta in una delle sue lettere: “Ci sono cose che si vedono solo con gli occhi che hanno pianto”.


"Chiedo a voi giovani di Bukavu di non vagabondare senza far nulla. Chiedo pure di non continuare ad accusare il prossimo perchè sia maltrattato dalla polizia segreta. C'è serio pericolo di guerra . Noi cosa facciamo per impedirla?

Vegliamo e rendiamoci conto dell'intenzione di massacro, per scongiurarlo con la nostra preghiera e la nostra concordia. Non ci capiti mai di fare violenza contro innocenti. Evitiamo discriminazioni e ogni progetto che mira ad uccidere dei fratelli, anche se di un'altra etnia. Ogni persona dev'essere considerata innocente finché non è dimostrata la sua colpevolezza.

Mons. C. Munzihirwa, Bukavu 13 ottobre '96


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