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Freddy e la lunga scia di problemi in Mozambico

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Freddy è stato probabilmente il ciclone tropicale di più lunga durata mai registrato. La sua furia si è abbattuta sull’Africa australe, interessando in particolare Madagascar, Mozambico e Malawi. Nel 2023 ha colpito per ben due volte il nostro Paese, prima il sud alla fine di febbraio, poi a marzo è entrato di nuovo dal Canale del Mozambico devastando la città di Quelimane.

Ha poi proseguito come depressione tropicale verso la nostra regione. I venti sono rallentati, ma le piogge no. Cinque giorni di acqua ininterrotta hanno fatto cadere migliaia di abitazioni costruite in materiale precario, crollare ponti e reso impercorribili strade. La depressione è proseguita verso il vicino Malawi, dove si è registrato il numero maggiore di vittime e danni. Le piogge del Malawi hanno provocato la piena del fiume Chire, che nasce dal lago Niassa e sfocia nello Zambesi proprio nel territorio della nostra parrocchia di Charre. La piena è arrivata all’improvviso giovedì 16 marzo, il primo giorno di sole. Qui non ci sono argini. L’acqua è avanzata rapidamente per circa 15 chilometri. Solo nella nostra zona, 14 contadini che erano nei campi sono morti trascinati dalle acque. La sera tardi le canoe andavano a recuperare chi aveva trovato rifugio sugli alberi.

La piena ha inondato i campi ormai pronti per il raccolto. Nei giorni successivi chi poteva andava in canoa a recuperare sott’acqua alcune pannocchie di granoturco prima che marcissero. Con la variabile aggiunta non indifferente del pericolo dei coccodrilli. Dopo il ciclone e la piena, si preannunciano così la terza e la quarta piaga: la mancanza di semente seguita dalla fame. Per tre mesi abbiamo avuto le strade interrotte, ma dopo circa un mese è stata ristabilita la linea ferroviaria. Grazie ai “contributi di umanità” di tanti amici dall’Italia ci siamo attivati per fare arrivare in treno cinque tonnellate di semente. In più abbiamo distribuito beni alimentari a centinaia di famiglie, sperando che, nel frattempo, il secondo raccolto potesse salvare il salvabile. Un secondo raccolto che però è stato molto scarso. Dopo il ciclone, infatti, è piovuto pochissimo.

Quando qui si chiede a qualcuno come sta, generalmente risponde: “Tudo bem, graças a Deus”. Ma, spesso e volentieri, questa è una risposta data per abitudine o per convenzione. Oppure perché la nostra gente ha una speranza congenita nel cuore e un’ostinata prospettiva a vedere il bicchiere mezzo pieno. A dire la verità anche il 2024 è un altro anno difficile. Siamo in piena estate. A queste latitudini il tempo del grande caldo corrisponde alla stagione delle piogge: dovrebbe piovere, ma non sta piovendo. Qui non esistono sistemi di irrigazione. Per tre volte la gente, dopo l’abbaglio di un po’ di pioggia, ha seminato e per tre volte il raccolto è bruciato sotto il sole. Al mercato il prezzo del granoturco è triplicato: solo i funzionari pubblici possono permetterselo. Visitando le famiglie mi rendo conto che sono tante quelle che fanno un solo pasto al giorno.

Papa Francesco, nella Laudate Deum, scrive che «gli effetti del cambiamento climatico sono subiti dalle persone più vulnerabili» (n.3). Come dargli torto. Poi Dio fa le cose come vuole Lui. E mette nel cuore dei più poveri quella speranza congenita e quella ostinata prospettiva a vedere il bicchiere comunque mezzo pieno. Che tante volte manca a noi.



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