Eucaristia è missione: fatica d'ogni uomo e frutto della terra
Eucaristia, Pane della vita promesso da Cristo a quelli che il lavoro affatica e la lotta stanca. (beato Guido Conforti)
“Sarai contento, Gesù, è un tuo collega...”. Probabilmente con la bocca ripetevo le parole della liturgia: “Il corpo di Cristo”, ma la mente e il cuore contemplavano il Falegname di Nazaret. Pregavo: “Gesù, tu non avevi il tornio computerizzato né la pialla elettrica. I tuoi paesani ti chiamavano figlio del falegnameo più semplicemente, il falegname . Le tue mani non potevano che essere grosse e piene di calli, come quelle di questi miei contadini che lavorano di zappa, piccone e altri attrezzi che io, lontano ormai da cinquant'anni dall'officina di fabbro ferraio, neanche ricordo più. Purtroppo! È bello depositarti in queste mani, rispettose e adoranti, sofferenti ma gonfie di speranza”.
Mentre deposito Gesù in queste mani, come Maria nella mangiatoia, penso all'Eucaristia come a traguardo di un cammino lungo e faticoso. Arare, seminare, attendere con pazienza; gioire per lo spuntare dei germi, la cura per evitare erbacce e insetti, la raccolta, la macina, l'impasto, la cottura...
Ed ecco il pane portato all'altare, “frutto della terra e del lavoro dell'uomo”.
In quel pane - che per la forza dello Spirito è corpo e divinità del Falegname di Nazaret - sta tutto il lavoro dell'uomo e della donna; in quel pane vedo tutta la fatica della mia gente, di uomini e donne che, quando è ancora notte, sono già in strada per raggiungere il posto di lavoro. In quel pane, corpo di Cristo, vedo la fatica dell'umanità, le gioie e i dolori del mondo, i semi di bontà lanciati nei solchi della storia umana in tutte le parti del mondo e di tutte le religioni.
Questo lavoro, così poco retribuito, devo portare all'altare, ogni giorno. Il beato Guido ricorda: “Per diventare pane, il frumento fu gettato in terra e prima di giungere a maturazione ha sopportato i venti, il ghiaccio, le piogge, il caldo, il freddo; fu battuto sull'aia, pestato sotto la mola, sottoposto agli ardori del forno. A prove simili fu assoggettato il grappolo, dopo aver tollerato le intemperie della stagione, fu pigiato e compresso al torchio e in tal modo si è convertito in vino. Non potevano essere meglio significati i dolori e la morte che il Redentore nostro ha subito per diventare nostro pane e nostro vino celeste nel sacramento del suo amore!”.
Con uno sguardo ottimista il nostro beato aggiunge: “Noi dobbiamo volere che tutte le invenzioni del genio umano, tutte le scoperte meravigliose dell'età nostra, tutto il progresso che ci allieta, serva anche al compimento dei disegni di Dio, che vuol salvi tutti gli uomini”.
Perciò in quel pane vedo il progresso dei popoli; vedo il cammino delle religioni alla ricerca del volto di Dio; vedo il lavoro quotidiano di ogni uomo e donna della terra, sognando quel benessere e quella pace che Gesù può donare. Sogno la famiglia di fratelli e di sorelle che il pane e il vino così bene significano.