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Che coraggio... avere coraggio, Un qualcosa che viene da dentro

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Tra i libri che ho letto da piccolo c'era "Capitani coraggiosi". Erano le storie di alcuni giovani che andavano in giro per il mondo, vivendo un sacco di avventure. E anch'io sognavo di viverne altrettante. Poi crescendo, credo proprio di esserci riuscito.

Sempre più lontano...

La prima avventura, se così posso chiamarla, è arrivata nel 1960 quando ho lasciato il mio paese per andare in seminario. Non ero mai uscito di casa e avevo un po' di paura. Ma, come si dice, la paura passa con il tempo. E così è successo. Poi, sono andato nella grande città e da lì, nel 1970, mi sono catapultato in un ambiente nuovo, quello dei missionari. Da allora gli spostamenti sono stati frequenti, in varie parti d'Italia.

Ma un giorno è arrivato l'invito ad andare ancora più lontano, a seimila chilometri di distanza dal mio paesello: in Africa. Ne avevo sentito parlare solo alla televisione e avevo letto qualcosa nei libri di avventure. Ma andare laggiù è stata un'altra cosa. Ci voleva veramente del coraggio! Non sapevo cosa mi aspettasse. Ma con un po' di incoscienza e fiducia nel Signore, un giorno del settembre 1983, mi sono imbarcato sull'aereo che mi avrebbe portato in Zaire.

Un allenamento continuo

Insomma, sono arrivato all'equatore. Non era più una linea immaginaria sui libri di geografia, ma una realtà che avrei imparato a vivere giorno dopo giorno. Gli spostamenti in macchina già mi facevano capire che non sarebbe stato facile. Ma il coraggio, pian piano, è diventato qualcosa di vivo.

In lingua swahili, infatti, la parola "coraggio" è qualcosa che viene da dentro, dal cuore, dallo spirito. Bisogna lasciarlo uscire, prenderlo nelle proprie mani. E poi, tutto diventa più facile: imparare una lingua, accettare il caldo oltre i 40 gradi, vivere con persone che non si conoscono... Diventa un allenamento continuo.

Il coraggio non ci lascia tranquilli. Bisogna seguire i suoi consigli. Poi, quando sei sulle rive del lago Tanganika, ti aspettano altre prove di coraggio. Devi cominciare a parlare, a comunicare con la gente. All'inizio si mettono un po' a ridere, perché non riesci a farti capire, ma poi tutto diventa più semplice. Allora ti senti a casa tua e puoi lasciar riposare il coraggio.

Forza e coraggio!

Un giorno mi dicono che devo fare un bel viaggio sul lago. Mi imbarco sul battellino della missione per iniziare il safari di quindici giorni sul lago. Ed ecco che il coraggio riappare... Dopo qualche minuto, scoppia una furiosa tempesta e il battello comincia a ondeggiare: acqua da tutte le parti e le parole che non escono dalla gola. Per un'ora si danza in tutti i modi. Poi finalmente, con l'aiuto dei due piloti, riesciamo ad arrivare alla riva. E il coraggio? Non si era nascosto, ma era dentro di noi.

In Africa, quando qualcuno passa vicino ad altre persone che stanno lavorando, le saluta dicendo: "Du courage! - Forza, coraggio!". All'inizio non capivo, anzi mi scocciava un po'. Poi, mi sono reso conto che era un modo per sentirsi vicino a chi stava faticando.

Continuando a provarci

Era proprio questo il messaggio che trasmettevo ai giovani, laggiù in Africa. Non era facile, ci voleva coraggio a vivere in situazioni così difficili. Ma bastava farci vicini gli uni agli altri e spesso riuscivamo a vincere le difficoltà.

Questo l'ho visto anche qui in Italia, frequentando i vari gruppi scout. Mi ha sempre meravigliato il coraggio di tanti capi che, nonostante gli impegni di famiglia e di lavoro, riescono con coraggio e gioia a vivere il loro servizio. E mi viene spontaneo dire "grazie" a loro, perché mi hanno dato coraggio anche nel continuare il mio servizio di assistente ecclesiastico.

E allora, perché non continuare a provarci? Insomma da "capitani coraggiosi" a "giovani coraggiosi", a "genitori coraggiosi", a "preti coraggiosi"...!



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