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Filippine, tendere la mano in tempo di tifoni e tempeste

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Nella notte tra l'11 e il 12 novembre ci ha colpito il tifone Ulisse. L'enorme quantità di pioggia rilasciata in poche ore ha causato, ancora una volta, lo straripamento del fiume Marikina. Lungo solo 78 chilometri, raccoglie l'acqua dalle pendici della Sierra Madre, la catena montuosa orientale della Marikina Valley, una delle periferie di Manila. Durante la stagione delle piogge, il fiume spesso si gonfia. Questa volta il livello dell'acqua al ponte Santo Niño, nella città di Marikina, è salito a un livello senza precedenti: 22 metri, in sole 14 ore.

La parrocchia saveriana Nostra Signora di Guadalupe, situata in questa periferia e abitata da oltre centomila persone, è stata una delle zone che hanno sopportato il peso di un’enorme e impietosa quantità di acqua. Nel settembre 2009, avevamo vissuto la grande alluvione portata dal tifone Ondoy: una vera tragedia a causa delle numerose vittime e degli ingenti danni a tutta la città. A quel tempo, ogni anziano Marikeño affermava di non ricordare di aver sperimentato mai qualcosa di simile nella propria vita. Eppure, quello che è successo poche settimane fa, non può più essere considerato un evento isolato che si verifica una volta in un secolo.

Il tifone Ulisse ha lasciato una scia di distruzione tutt'intorno. Infatti, ancora una volta, le persone sono state colte impreparate, sopraffatte da un potente senso di smarrimento e impotenza. Non ci sono state molte vittime, tuttavia il danno è enorme. A parte l'edificio e le infrastrutture, nulla è stato risparmiato dall'invasione dell'acqua fangosa: mobili, utensili, vestiti, scarpe, attrezzature, veicoli, cibo, carta, giocattoli… Tutto è stato avvolto e travolto dalla melma. Dopo che l'acqua si è abbassata, uno strato di fango ha creato un paesaggio spettrale. Nonostante le precauzioni, non siamo riusciti a salvare il nostro ufficio parrocchiale e gli accessori delle cappelle della parrocchia. Immagini sacre sono state rovinate, paramenti e vasi sacri macchiati. Solo i cancelli di ferro hanno impedito che le nostre statue e i banchi venissero trascinati nelle strade. In ufficio, i nostri tre computer sono rovinati, insieme alla fotocopiatrice.

Le persone hanno pulito ovunque con ogni mezzo possibile, cercando di recuperare le loro cose da cumuli di fango e spazzatura. Aspettano con fiducia che presto arrivino i camion con i macchinari per la pulizia. Tra la gente è subito iniziata una catena di solidarietà per portare soccorso. Noi saveriani, ancora una volta nel cuore del “campo di battaglia”, stiamo cercando di fare la nostra parte, ricevendo e portando aiuto alle persone bisognose, attraverso i leader delle nostre Comunità ecclesiali di base.

Il 15 novembre, IV Giornata Mondiale dei Poveri, di nuovo ci siamo ritrovati nella necessità di tendere la mano ai poveri, come fratelli tra fratelli, e non come salvatori degli abbandonati, ben consapevoli del nostro stesso bisogno di ricevere una mano. In effetti, quante mani tese abbiamo visto in questi giorni, mani che compongono tutte una grande litania di buone opere!
Ci ricordiamo che la Chiesa non ha certo soluzioni complete da proporre per queste calamità e disastri naturali, ma, per grazia di Cristo, continua a offrire la sua testimonianza e i suoi gesti di carità.

Anche se non portiamo nulla, le persone ci ringraziano per essere loro vicini. Nei giorni di incontro quotidiano con i sofferenti e gli indigenti, Nostra Signora di Guadalupe, Madre dei poveri, è sempre al nostro fianco, con la consapevolezza che un altro tifone potrebbe venire a trovarci.



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