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Animazione Missionaria e Vocazionale

Desio (MB)


  • Via Don Milani, 2 20832 Desio MB

  • 0362 625035
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  • desio@saveriani.it
  • C/C Postale: 00358200
  • IBAN: IT 71F06230 33100 000046222194 (Cariparma Credit Agricole, Desio)
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Presentazione

La nostra casa vuole dunque essere “spazio aperto” di condivisione con la famiglia saveriana, composta dai missionari saveriani, dalle missionarie saveriane e dai laici saveriani. Insieme incroceremo cammini di vita alla luce di Cristo con un grande desiderio di felicità e di pace.

Cdesio celebrazionei rispecchieremo in tanti popoli con i loro volti, le loro storie e con le sfide come la pace, la giustizia, il dialogo interreligioso e interculturale, la salvaguardia del creato.

Qui, dall’inizio alla fine, la missione è intesa come incontro tra persone in Cristo che, secondo continenti, modalità e tempi diversi, suscita sfide, accende il cuore di desideri e porta a formulare progetti.

Offriamo, dunque, strumenti di animazione, itinerari e proposte di formazione, incontri di Spiritualità alla luce del Vangelo, l’ascolto di testimoni, di missionari che hanno già fatto la loro scelta di vita accanto agli ultimi del mondo.

Insieme, ci collegheremo con tante persone già impegnate nella diffusione del Vangelo e anche noi potremo scoprire cammini per farlo a partire dal nostro territorio, dal nostro ambiente lavorativo, scolastico o universitario, per essere anche noi proiettati verso gli altri… “fino agli estremi confini della terra!

Benvenuto a Desio P. Franco Benigni, nuovo rettore

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Il 19 luglio 2021 il Superiore Regionale dei missionari saveriani in Italia, p. Alfredo Turco, ha nominato P. Franco Benigni come Rettore della Comunità di Desio dall’1 settembre 2021. Mentre ringraziamo il Signore per il dono di padre Franco, esprimiamo a p. Franco la nostra gioia di accoglierlo qui a Desio dove il Signore gli ha tracciato la strada.

Io e padre Franco non ci siamo mai incontrati. Ho voluto conoscere un po’ della sua vita, storia per presentarlo alla diocesi e alla nostra amata Città di Desio. La sua vita è ricca di esperienze, di ricordi, di volti, di storie di tante persone che il Signore ha messo sul suo cammino e soprattutto di una saggezza frutto del sapere esperienziale, intellettuale alimentato dalla Parola di Dio, dall’Eucaristia e da incontri.

Sentendo le parole di p. Franco mi ritorna in mente quella frase breve e concisa di Gaston Bachelard: “L’incontro ci crea” nel senso che p. Franco testimonia, nell’intervista, come l’incontro con culture e religioni, usanze e tradizione, fede e devozioni di un altro popolo lo hanno trasformato fino a diventare messicano tra i messicani custodendo le sue radici “bergamasche”. Non vi nascondo il sentimento che ho provato ascoltando p. Franco: commozione di gioia e gratitudine.

Ma chi è p. Franco Benigni? Padre Franco nasce a Bergamo nel 1952. Nel 1978 viene ordinato sacerdote. In seguito svolge il servizio di insegnante nelle nostre case in Italia dal 1979 al 1993. Nel 1989, vivendo a Desio, consegue la laurea in filosofia con specializzazione in storia presso l’Università Cattolica di Milano e più tardi in Messico otterrà la Licenza canonica in teologia dogmatica presso la Pontificia Universidad de México 2003. In Messico p. Franco vi ha svolto vari servizi.

Professore di Introduzione alla Bibbia e alla Teologia nel Noviziato Saveriano di Salamanca Gto (1994-1999). Professore de Filosofía del Diritto en la Università Lasalle de Salamanca Gto. Rettore de del Noviziato y Postulandato di Salamanca Gto; poi direttore generale del Collegio Centro Cultural Alteño di Arandas e preside del liceo del Colegio (1996 – 2010). Dal 2003 al 2020 insegna filosofia nell’Istituto Universitario di Filosofía di Guadalajara. E dal 2014 al 2020 è insegnante di Introduzione alla Teologia nell’Instituto Interreligioso di Guadalajara.

In seguito l’intervista tra p. Emmanuel e p. Franco.

P. Franco benvenuto a Desio. Karibu sana.

[a Cura di p. Emmanuel Adili Mwassa, sx]

INTERVISTA

P. Franco, quali sentimenti hai rispetto alla tua nuova destinazione nella Diocesi di Milano, specialmente a Desio?

Sono contento di venire a Desio per il servizio che i nostri superiori mi hanno richiesto. Sono stato ordinato sacerdote nella congregazione saveriana nel 1978 e mi sono trovato sempre contento nello svolgere la funzione che di volta in volta mi è stata indicata, pur con le difficoltà che sempre si incontrano nel cammino della vita. Quindi ogni cambio nella nostra vita esige un atto di fede. La fede è una componente necessaria nella vita, ma specialmente nella vita cristiana e quindi, a maggior ragione per noi religiosi che facciamo della professione religiosa una radicalizzazione delle rinunce che professiamo nel Battesimo.

Ma solo per questo sei contento?

Ovviamente no. La fede cristiana ci stimola a cogliere la bellezza delle culture, nei loro vari aspetti. E Desio è una città ricca di storia, a partire dal suo nome latino, di cultura, con le sue chiese e i suoi palazzi, ma è anche molto industriosa. Infatti dà la possibilità di lavoro, non solo ai suoi cittadini, ma anche a coloro che vogliono guadagnarsi il pane di ogni giorno. Ma soprattutto la realtà della chiesa di Milano, e di Desio in particolare, è molto ricca di gruppi ed iniziative ecclesiali. Anche per questo mi piace Desio, inoltre anch’io sono lombardo…

Un missionario che cosa valorizza di più di una cultura?

L’incontro con le persone. Perché cultura è proprio delle persone che nel loro insieme formano una società. E i milanesi hanno per cultura di essere intraprendenti ed aperti.

Anche per questo gli abitanti di Desio hanno fama di essere cordiali e accoglienti.

Conoscevi già Desio?

Sì, ci sono stato quando studiavo e mi sono laureato in filosofia alla Cattolica di Milano.

Dove sei stato prima di venire a Desio?

Sono stato in Messico, dove i superiori mi inviarono nel 1993.

Il Messico è grande sette volte l’Italia... dove ti trovavi?

Ho lavorato a San Juan del Rio, Salamanca, Arandas e Guadalajara. I saveriani in Messico, benché abbiano alcune missioni con gli indios, si dedicano soprattutto alla formazione di nuovi missionari. I saveriani messicani sono un centinaio circa. Oltre all’attività pastorale ho collaborato per quasi vent’anni con l’Istituto Universitario di filosofia.

P. Franco, vedo che sei stato molti anni all’estero, inoltre hai detto che sei lombardo; di dove sei?

Sono nato a Bergamo nel 1952. Ma, nonostante mi senta “molto bergamasco”, in Messico ho chiesto ed ottenuto la cittadinanza messicana, cosicché mi sento anche messicano... Infatti, anche se ognuno di noi è strutturato culturalmente da una identità, tuttavia nella vita si procede “per addizione”, cioè accogliendo quei valori di altre culture che sono validi e che noi stimiamo e che giungono ad integrare o correggere la nostra d’origine. Direi anzi che più uno si sente identificato con la sua cultura, più è libero di criticarla e di accogliere gli aspetti buoni delle altre.

Avevi lavorato anche in Italia, prima di andare in Messico?

Sì, nelle nostre case fino al ’93, come incaricato della formazione ed insegnante. Ora vedo che la nostra presenza di saveriani qui in Italia è cambiata molto. Ma la nostra fedeltà al vangelo non è in discussione, è in discussione solo il modo migliore per essergli fedeli.

Hai nostalgia del Messico?

Certamente. Averci lavorato con gioia per quasi trent’anni, che è una buona fetta della vita, un po’ significa averci lasciato se stessi, per cui anche a me resta un po’ di nostalgia, per il “México lindo y querido…” (Messico bello e amato…). Tuttavia quando i superiori mi hanno proposto di restare in Italia e venire qui, ho accettato con gioia perché qui a Desio si serve sempre la missione, anche se in ben in tutt’altro modo.

Ti sembra che la missione dei saveriani oggi sia cambiata?

È sotto gli occhi di tutti il cambio di prospettiva che è avvenuto circa la missione. Un tempo era inevitabilmente eurocentrica, essendo i missionari quasi totalmente europei; le comunità cristiane europee hanno dato moltissimo in termini di persone e di mezzi; oggi però abbiamo la fortuna che il Vangelo, anche se talvolta in modo parziale, è stato annunciato in tutto il mondo e che pertanto i missionari, e così anche i saveriani, provengano da tutti i continenti.

Da tutti i continenti dunque, saveriani per la Missione ad Gentes?

Infatti da tutti i continenti ci sono missionari che vanno ad Gentes, cioè vanno ad annunciare Gesù Cristo a coloro che non lo conoscono.

In questo senso la missione della chiesa di annunciare Cristo non è cambiata, nei duemila anni di storia. Quelli che cambiano sono i modi. L’internazionalizzazione dei saveriani aiuta a purificare l’annuncio da quegli aspetti che non sono propriamente del vangelo ma che sono invece culturali. Ora, quello della missione è un cammino non sempre facile, perché esige la capacità di inculturarsi in un altro mondo, cioè di adattarsi ad altri usi e costumi e allo stesso tempo mantenersi fedeli al messaggio cristiano. Implica spesso di rinunciare a se stessi, per saper dialogare.

Dunque la missione ad Gentes è dialogo?

Sì, ma dialogo profetico.

Che significa?

Significa che oggi nella Missione ad Gentes sono implicati vari elementi che agiscono insieme. Tra di essi, ci sono la testimonianza e l’annuncio, l’inculturazione e il dialogo culturale ed interreligioso, l’impegno per la giustizia e la contemplazione… In ogni modo “…l’evangelizzazione deve essere il nostro criterio-guida per eccellenza, con il quale discernere tutti i passi che siamo chiamati a dare come comunità ecclesiale; l’evangelizzazione costituisce la missione essenziale della chiesa”. Così Papa Francesco rileva in una recente lettera alla Chiesa tedesca.[1]

Torniamo al Messico. Tu hai parlato di valori delle varie culture. Ci puoi fare un esempio di valori della cultura messicana?

A mio modesto parere, tra i primi valori che la gente del Messico coltiva e conserva, credo ci sia quello di un profondo, intenso senso religioso della vita. Dio è presente nella natura e nei fatti, cioè nella storia personale e nazionale. E la sua provvidenza si manifesta anche nell’amorosa compagnia della Madonna con il suo popolo. L’accompagnamento che la Virgen de Guadalupe fa con il suo popolo è una convinzione del popolo. Per questo la devozione a la Morenita del Tepeyac è profondamente radicata nel popolo.

Un’ultima domanda, P. Franco. Tra i bei ricordi della tua missione, quale ci vuoi raccontare?

I ricordi di quasi trent’anni di una vita sono certamente moltissimi. Qui ora voglio ricordare quei pellegrinaggi dove io sono stato come cappellano, in qualità cioè di sacerdote accompagnante. E particolarmente i pellegrinaggi a cavallo nel centro della “meseta” del Messico centrale.

In questo paese è molto forte la pratica spirituale del pellegrinaggio: è una pratica antica che appartiene a molte religioni, se non a tutte. Essa rappresenta simbolicamente un avvicinamento alla sfera del divino: il fedele lascia indietro la vita quotidiana e “parte all’avventura” superando difficoltà e affrontando la fatica di un viaggio, più o meno lungo, verso il santuario per il suo incontro con Dio e con se stesso.

Anche la vita è un cammino che ci porta a conoscere e ad amare di più noi stessi, il prossimo e Dio. Il pellegrinaggio “in symbolo” vuole portare a scoprire quale senso ha la vita umana e quindi quali sono i valori dell’esistenza.

Qui in Messico continua ad essere una devozione molto radicata nel cuore della gente. Qui quando la gente del popolo fa fatica a cogliere il senso della propria esistenza e sente il peso dell’incertezza e dei dubbi sulla propria vita, intraprende il cammino verso il santuario, a piedi o a cavallo. Potremmo dire, a mo’ di mezza battuta, che, nei paesi d’Europa, quando l’individuo ha conflitti con se stesso va dallo psicologo; in Messico fa un pellegrinaggio.

Alcuni di questi viaggi durano anche un mese: sono sempre faticosi e comportano sempre sacrifici per dormire (dove si riesce, generalmente “sub divo”, sotto le stelle del cielo messicano, la maggior parte dell’anno limpidissimo), e per mangiare, come si può. Da qualunque parte del paese, e il Messico è grande sette volte l’Italia, partono pellegrinaggi al monte Tepeyac, il santuario della Madonna di Guadalupe, (della quale ogni messicano cattolico è devotissimo); o verso altri santuari di importanza locale dedicati alla Vergine o a Nostro Signore o a qualche santo.

Fu così che cominciai anch’io ad accompagnare i pellegrini a cavallo della nostra regione, il Bajío, un altipiano a 1750 metri sul livello del mare.

Il primo di questi viaggi fu al santuario di S. Martino di Tour, chiamato San Martín Caballero, perché è rappresentato a cavallo mentre con la spada taglia il mantello per darne la metà ad un povero.

Ricordo ancora, come fosse ieri, quella notte: “Padre, si parte a mezzanotte: al primo tocco della campana si sellano i cavalli e al secondo ci troviamo davanti alla Chiesa per la benedizione”.

Alla mezzanotte ci svegliò il primo tocco: e fummo in piedi; alla luce delle pile cercammo i cavalli nel “corral”; ognuno conduceva fuori il suo, gli dava acqua, lo sellava, gli metteva il morso, sistemava sulla sella le bisacce con un po’ di cibo per il viaggio.

Accomodai il calice e le altre cose necessarie per la Messa nella bisaccia e i paramenti li legai di traverso sulla sella. Montai a cavallo. Mi avevano dato una puledra di colore “retinto”, un po’ nervosa ma obbediente. Al secondo tocco ci trovammo davanti alla chiesa: diedi la benedizione e ci avviammo. Lungo il cammino ci stavano aspettando altri gruppi che si unirono a noi. Il nostro percorso attraversò la Sierra Madre Occidentale, il gruppo delle montagne di Guanajuato. Cavalcammo senza parlare nella notte stellata messicana. Al mio fianco l’amico Martínez, dietro, suo figlio. Il silenzio era altissimo. Si udivano solo nitriti di cavalli bradi cui rispondevano i nostri; l’ululato di qualche coyote che fiutava la lince, il volo di qualche rapace notturno; e su tutto, nel silenzio, lo scalpitio degli zoccoli.

Non c’era luna. Sarebbe sorta solo qualche ora prima dell’alba. Il buio era quasi assoluto sui sentieri della montagna: solo dai ferri dei cavalli che colpivano le pietre uscivano scintille. Appena si potevano intravvedere le ombre di vari tipi di cactus. Eppure i cavalli procedevano spediti sui sentieri, nelle praterie, attraversavano ruscelli e pietraie. Si trattava soltanto di dare loro briglia perché cercassero soli il passo. Fredda l’aria che scendeva dal monte: portava gli odori del bosco.

Mantenemmo i cavalli a un passo sostenuto e, a volte, al piccolo trotto; il galoppo là sulla sierra sarebbe stato troppo faticoso. Così raggiungemmo il valico ai 2300 m/s/m.

Incontravamo gente a piedi, diretta, come noi, al santuario. Qualcuno perfino camminava scalzo: pensava che quanto fosse maggiore il sacrificio più grande sarebbe la purificazione e quindi il perdono di Dio.

Fin che giungemmo. Confessai molti cavalieri e celebrai la Messa…

Y el recuerdo todavía, después de muchos años, mi conmueve…

 

[1] https://www.vatican.va/content/francesco/es/letters/2019/documents/papa-francesco_20190629_lettera-fedeligermania.html consulta del 5-5-21



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