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Una cosa di cui le persone di una certa età, come me, penso siano convinte è che le parole hanno un loro significato.

Forse, oggi, per i ragazzi questo non è più così assodato vista la marea di anglismi utilizzati nel parlare comune o il modo volgare e sguaiato di discutere che vediamo spesso  in televisione.

Vedere due persone ragionare pacatamente, esprimendo ognuno le proprie convinzioni sembra cosa ormai desueta.

Tutt’al più, se ci sono parole scomode o non “politicamente corrette”, si impone di non usarle più.

Prendiamo ad esempio la parola “razza”.

Per chi, come me, ha superato i cinquant’anni, usare questa parola era normale, la studiavamo anche a scuola, applicandola a uomini ed animali.

Relativamente agli uomini, c’era la razza caucasica, quelle amerinda, ecc.

Purtroppo , nel corso del tempo, c’è stata anche una deriva negativa della parola razza: razza bianca, razza negra, razza gialla.

Questa deriva negativa ha portato a sviluppare una supposta gerarchia di superiorità: la razza bianca come razza superiore, che tante sofferenze ha causato. Pensiamo all’ideologia ariana del periodo della seconda guerra mondiale o alle disparità di condizione sociale per colpa della razza negli anni cinquanta e sessanta negli Stati Uniti d’America.

La parola razza, a mio avviso, è semplicemente un sinonimo di categoria.

E’ un modo di raggruppare in base a parametri biologici, morfologici, geografici le popolazioni del nostro pianeta.

Nessuno è autorizzato a trascendere questo significato per ipotizzare criteri di superiorità di una popolazione sull’altra.

La scienza ci dice che il concetto di razza non ha più senso di esistere, visto che nel DNA di tutti la componente comune ai nostri progenitori africani è altissima.

Temo però, che questo concetto impiegherà ancora parecchi anni per entrare nel vissuto quotidiano.

Nel frattempo, molte volte ci laviamo le coscienza semplicemente sostituendo la parola con un’altra. Eliminiamo razza ed usiamo ad esempio etnia. Gli “studiati“  parlano di fenotipi.

Il problema è che sostituendo la parola, molto spesso, diamo un colpo di spugna alla storia.

Dimentichiamo quello che doveva essere il vero significato ma dimentichiamo pure i disastri che una deriva negativa  dell’uso della parola ha comportato.

Prova ne sia lo spettacolo che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni quando sentiamo parlare di migranti, di guerre nel vicino medio oriente.

Mantenere vive le parole, non per una senso “nostalgico” ma per una memoria che aiuti a non sbagliare di nuovo è fondamentale, a mio avviso.



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