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Era il 1984, se mi ricordo bene. Ero da poco arrivato in Congo RDC e nella parrocchia di Baraka. Dietro alla chiesa, era stato costruito, con i mattoni della vecchia missione, lo stadio di calcio.

Una domenica pomeriggio stavo chiacchierando con alcuni giovani, quando si avvicina un signore (il presidente della Federazione di calcio della Zona) che mi chiede se avevo un fischietto, visto che si era perso. Io gli dico che, se vuole, posso arbitrare io, dato che sono arbitro di calcio. Detto fatto. Vado a cambiarmi e entro in campo. Un po’ di meraviglia della gente che era venuta ad assistere alla partita. Faccio quello che ogni arbitro è abituato a svolgere all’inizi: appello del giocatori, ultime raccomandazioni, ecc. e via: al mio fischio si comincia. Nessuna emozione (diciamo un pochino, sì). Alla fine tutti vengono a farmi i complimenti. Non era successo niente di grave. A volta, capitava che l’arbitro cercasse un po’ di coraggio con una birra e che qualche spettatore, non troppo contento, gli esprimesse la sua opinione in modo concreto…

Da quel momento, insieme ai giovani della parrocchia, abbiamo iniziato una scuola per arbitri, recuperando anche gli altri che bene o male, la domenica cercavano di fare il loro dovere sul campo di calcio. E così sono anche diventato responsabile della loro formazione a livello di Zona (diciamo quasi di regione). Venivano le squadre anche da lontano. Tra di esse, c’era quella dei militari. Ma quando c’ero io in campo, si comportavano bene. Forse avevano un po’ di paura. E così piano piano, anche attraverso questo, si è riusciti a venire in contatto con tante persone che di solito non venivano in chiesa. Il padiri arbitri (il padre arbitro) era conosciuto e attraverso di lui, Qualcun altro poteva bussare alla loro porta.

L’importante, l’ho capito in Africa, è sfruttare tutte le occasioni per entrare in contatto con la gente. E lo sport era un mezzo formidabile.

Mi viene da ricordare anche le partite a pallavolo con i giovani. Il pallone eravamo riusciti a recuperarlo. Ma la rete? Semplice. Si prendeva una rete da pesca, la si legava a due pali e la si tendeva con dei rami di bambù e si giocava. Basta guardare al di là di quello che si vede e tutto è più semplice. Quando invece sono andato in Camerun, arbitravo le partite tra i preti e laici. I primi erano un po’ arrabbiati, perché perdevano sempre (veramente erano un po’ irruenti) e quindi davano la colpa a me. Ma piano piano hanno cominciato a giocare meglio. E se non hanno vinto, almeno hanno cominciato a pareggiare.

Ho fatto amicizia anche con gli arbitri della città e ho conosciuto i loro problemi.

Mi ha fatto pensare a quanto ricevevano per una partita di serie B (diciamo: 2.000 franchi Cfa, circa 4 euro) e dovevano viaggiare in tutto il Camerun (una volta e mezza l’Italia). E per la serie A? (50.000 franchi cfa, circa 80 euro, che comprende viaggio, alloggio, mangiare…). Che differenza con l’Italia! Naturalmente con il rischio di aver qualcuno che non la pensasse bene sul proprio modo di arbitrare. Eppure la passione li spingeva a continuare, uomini e donne.

Anche questo rimarrà tra i miei ricordi più belli.



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