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Abituato a salire sulle montagne del Piemonte, della Valle Sesia, mi sono ritrovato a fare la medesima cosa in Africa. La differenza era che lassù abitavano delle persone, delle comunità e che aspettavano che il missionario andasse a trovarle. Ma ci sono sempre le sorprese che non ti aspetti.

E così un giorno, con qualche giovane che mi fa da guida, facciamo un mini safari per andare sopra i monti di Katanga (uno dei settori della parrocchia di Baraka) nel Sud Kivu in RDC. Si passa in mezzo alla foresta. Ogni tanto si sbuca in una radura, dove ci sono delle capanne, circondate dai bananeti. Ci si ferma, si fanno quattro chiacchiere, si beve e si mangia qualcosa. E poi si continua a salire. Guardando a valle, sullo sfondo il lago Tanganika si stende in tutto il suo splendore. Il sole manda i suoi raggi e tutto luccica, ma noi dobbiamo continuare a salire.

Verso sera, arriviamo in un villaggio, dove ci accolgono con gioia. Eravamo un po’ stanchi. Ci lasciano riposare un pochino. Poi, come sempre, c’è il tempo per parlare, scambiarsi le notizie e mangiare qualcosa. Domani mattina presto ci sarà il momento di preghiera, prima che vadano a lavorare nei campi. Ci stendiamo sui letti di bambù e il sonno arriva presto. Un gallo ci fa il servizio di svegliarci. Un po’ di thè e qualche banana fritta ci ridanno forza. Poi la preghiera insieme e i saluti a chi va a lavorare. I bambini rimangono al villaggio. Non ci sono scuole nei dintorni. Qualcuno cerca di insegnare loro qualcosa, ma ci si limita al minimo. Anche loro devono contribuire alla vita della famiglia.

Noi riprendiamo la strada. Vedo che i miei accompagnatori si fanno dei sorrisini. Chissà cosa vogliono dire. Lo capirò presto. Dopo una buona mezzoretta sentiamo il rumore del fiume che scende giù verso il lago. Ci avviciniamo. C’è un ponte di legno. Di solito la gente lo attraversa con la manioca e altri legumi sulle spalle. Noi, per fortuna, lo costeggeremo. Mi dicono che ogni tanto qualcuno scivola e lo trovano a valle. Naturalmente senza vita. Però un piccolo ponte bisogna attraversarlo. C’è uno stagno e non si può fare altrimenti. C’è un lungo tronco (5-6 metri) messo in orizzontale, con una corda per appoggiarsi. La gente lo passa facilmente e anche i giovani. Però è scivoloso e io non so come fare per passare dall’altra parte. Alla fine mi decido. Mi siedo sul tronco e piano piano, arrivo dall’altra parte sotto le risate dei miei amici. Che paura. Non sono stato coraggioso, è vero. Ma la difficoltà aiuta a trovare delle soluzioni dignitose.

Il viaggio continua. Un’altra comunità ci aspetta. I miei compagni raccontano la mia “scelta eroica”. Lasciamo perdere i commenti. In ogni caso sono contenti che il missionario siano venuto da loro e mi premiano con un bel pranzetto. C’era un pollo di passaggio che è finito in pentola. “Mors tua, vita mea”. E ancora via, si scende. Fa meno caldo. C’è un po’ il fastidio delle erbe alte. Per fortuna non incontriamo nessun serpente. Si vede che si sono dati la voce e non ci disturbano. Una corsa fino al fuoristrada per ritornare prima del buio al centro della missione. Questa sera avrò tante cose da raccontare. Qualcuna la scriverò anche ai miei genitori, così anche a loAbituato a salire sulle montagne del Piemonte, della Valle Sesia, mi sono ritrovato a fare la medesima cosa in Africa. La differenza era che lassù abitavano delle persone, delle comunità e che aspettavano che il missionario andasse a trovarle. Ma ci sono sempre le sorprese che non ti aspetti.

E così un giorno, con qualche giovane che mi fa da guida, facciamo un mini safari per andare sopra i monti di Katanga (uno dei settori della parrocchia di Baraka) nel Sud Kivu in RDC. Si passa in mezzo alla foresta. Ogni tanto si sbuca in una radura, dove ci sono delle capanne, circondate dai bananeti. Ci si ferma, si fanno quattro chiacchiere, si beve e si mangia qualcosa. E poi si continua a salire. Guardando a valle, sullo sfondo il lago Tanganika si stende in tutto il suo splendore. Il sole manda i suoi raggi e tutto luccica, ma noi dobbiamo continuare a salire.

Verso sera, arriviamo in un villaggio, dove ci accolgono con gioia. Eravamo un po’ stanchi. Ci lasciano riposare un pochino. Poi, come sempre, c’è il tempo per parlare, scambiarsi le notizie e mangiare qualcosa.

Domani mattina presto ci sarà il momento di preghiera, prima che vadano a lavorare nei campi. Ci stendiamo sui letti di bambù e il sonno arriva presto. Un gallo ci fa il servizio di svegliarci. Un po’ di thè e qualche banana fritta ci ridanno forza. Poi la preghiera insieme e i saluti a chi va a lavorare. I bambini rimangono al villaggio. Non ci sono scuole nei dintorni. Qualcuno cerca di insegnare loro qualcosa, ma ci si limita al minimo. Anche loro devono contribuire alla vita della famiglia. Noi riprendiamo la strada. Vedo che i miei accompagnatori si fanno dei sorrisini. Chissà cosa vogliono dire. Lo capirò presto. Dopo una buona mezzoretta sentiamo il rumore del fiume che scende giù verso il lago. Ci avviciniamo. C’è un ponte di legno. Di solito la gente lo attraversa con la manioca e altri legumi sulle spalle. Noi, per fortuna, lo costeggeremo. Mi dicono che ogni tanto qualcuno scivola e lo trovano a valle. Naturalmente senza vita. Però un piccolo ponte bisogna attraversarlo. C’è uno stagno e non si può fare altrimenti. C’è un lungo tronco (5-6 metri) messo in orizzontale, con una corda per appoggiarsi. La gente lo passa facilmente e anche i giovani. Però è scivoloso e io non so come fare per passare dall’altra parte. Alla fine mi decido. Mi siedo sul tronco e piano piano, arrivo dall’altra parte sotto le risate dei miei amici. Che paura. Non sono stato coraggioso, è vero. Ma la difficoltà aiuta a trovare delle soluzioni dignitose. Il viaggio continua. Un’altra comunità ci aspetta. I miei compagni raccontano la mia “scelta eroica”. Lasciamo perdere i commenti. In ogni caso sono contenti che il missionario siano venuto da loro e mi premiano con un bel pranzetto. C’era un pollo di passaggio che è finito in pentola. “Mors tua, vita mea”. E ancora via, si scende. Fa meno caldo. C’è un po’ il fastidio delle erbe alte. Per fortuna non incontriamo nessun serpente. Si vede che si sono dati la voce e non ci disturbano. Una corsa fino al fuoristrada per ritornare prima del buio al centro della missione.

Questa sera avrò tante cose da raccontare. Qualcuna la scriverò anche ai miei genitori, così anche a loro sembrerà di essere qui in Africa con me.

 



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