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La bellezza del sacrificio di Dio salva il mondo

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La bellezza senza il sacrificio non salva il mondo - il Crocefisso di Salvador Dalì

Sabato 22 giugno, terminato l’impegno che mi ha condotto a Roma, ho dedicato le due ore libere prima del ritorno per recarmi ad ammirare il Crocefisso di Salvador Dalì esposto temporaneamente nella chiesa di San Marcello al Corso. Salvador Dalì chiamò questa sua opera: il Crocefisso di San Giovanni della Croce, perché fu la vista del minuscolo crocefisso che il santo aveva sempre portato con sé a suggerirgli di dipingere il Cristo in croce contemplato dall’alto. Anche il minuscolo crocefisso di San Giovanni della croce era esposto ai piedi del grande dipinto di Dalì.

Il Crocefisso contemplato dall’alto, al confronto di quello consueto veduto dal basso, è una radicale rivoluzione.

Rivela l’origine del sacrificio dalle viscere di Dio: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione... sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira” (Osea 11,8-9).

Dio ha nell’intimo di sé, nelle sue viscere, una irresistibile voce che comanda il sacrificio di portare alla fioritura e alla maturazione la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito, così come fioriscono e maturano i frutti della terra. La giustizia, la pace e la gioia sono l’anelito radicato nelle viscere di Dio, sono il movente della creazione e del divenire storico. “Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: … Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione
vicendevole (Rom 14,17-18). Dio fa fiorire e maturare i beni del suo Regno dissodando e coltivando il campo che è la sua creazione, che è soprattutto l’uomo, associando l’uomo e la creazione al suo stesso sacrificio. Creatore e creature, nel loro ordine, insieme nel sacrificio di far fiorire e maturare la giustizia, la pace e la gioia: “… la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi… Non solo anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli…“ (Rom 8,20-23).

Giovanni della croce con una potente immagine indicò la comunione dell’uomo con Dio nel sacrificio di portare alla fioritura e alla maturazione i beni del Regno: la chiamò cauterio d’amore. Il cauterio è lo strumento metallico che viene applicato incandescente a sanare le ulcere profonde che i soliti farmaci non possono guarire.

Francesco d’Assisi, quando il chirurgo applicò ai suoi occhi malati il ferro rovente, esclamò: “Fratello mio fuoco, l'Altissimo ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente, bello e utile. Siimi favorevole in questo momento, siimi amico, poiché già ti ho amato nel Signore! Prego il grande Iddio che ti ha creato, che moderi il tuo calore in modo che ora io possa dolcemente sopportarlo”.

Dall’inno al cauterio d’amore di Giovanni della Croce:

“O piaga veramente deliziosa
e tanto più profondamente deliziosa
quanto più il cauterio di amore.
È penetrato nell’intimo della sostanza dell’anima,
bruciando tutto ciò che si poteva bruciare
per dilettare quanto si poteva dilettare”.

La rivoluzionaria comprensione del dolore da castigo per le colpe a ferro rovente della presenza di Dio negli avvenimenti per portare alla fioritura e maturazione la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito, ci dischiude alla visione del Regno di Dio che avviene in noi, per opera di Dio che è intimo a noi più di ciascuno di noi a se stesso.

L’uomo chiede la sua salvezza, ma Dio in ogni uomo e creatura brucia l’io individuale portando a fioritura e a maturazione l’Io nello Spirito.

Fede rivoluzionaria in cui i bambini annegati in mare o sotto i detriti o abbandonati sono raccolti, preziosi! Anche quando: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” (Salmo 26,10).

La rivoluzionaria visione del dolore, vedendolo dall’alto!

Vedendolo in Dio e attraversandolo mano nella mano con Dio! Siamo, mano nella mano con Dio, sacerdoti che celebrano il sacrificio del divenire del Regno. La stupenda esperienza di non esistere per se stesso, il cauterio di amore che guarisce dal profitto
del paradiso privato alla gratuità del Regno di Dio, dove il più piccolo è più grande di Giovanni il Batista, il più grande tra i nati da donna (Mt 11,11).

Ma io domenica ho peccato. Ho peccato perché sono andato a messa. Percorrendo Via Garibaldi mirando alla chiesa dell’Incoronata per concelebrare con don Paolo Alliata la messa delle 11:30, ho assistito alla scena di un giovane, magrissimo, forse africano, avvolto in una povera coperta (benché 23 giugno, a Milano faceva piuttosto freddo) che chiedeva l’elemosina. Fu cacciato via con insulti. Da prete, feci una breve predica a chi insultava, richiamando al rispetto. Poi una pacca sulla spalla del giovane che si allontanò senza voltarsi indietro. Mi voltai io indietro e vidi la sua schiena sparire tra la gente.

La coscienza mi disse: la tua messa oggi è mangiare il pane eucaristico, il pane spezzato, con quel giovane.



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