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RIFORMA ECUMENICA DELLA CHIESA

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Gennaio per i cristiani è il mese ecumenico per eccellenza. Infatti, vi si celebra, da più di cent’anni (1908), nei giorni dal 18 al 25, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Questa iniziativa di ecumenismo spirituale ne ha fatto nascere altre, coinvolgendo gradualmente tutte le Chiese storiche, anche a livello ufficiale. Una di queste, in Italia, è la Giornata per l’ebraismo, istituita nel 1989, che si celebra il giorno precedente la Settimana, quasi a dire che i cristiani non possono osare la preghiera insieme, senza un rinnovato rapporto con i “fratelli maggiori” ebrei.

E se fino al Vaticano II (1962-1965), la Chiesa cattolica, pur aderendo alla Settimana, proibiva ai suoi fedeli di “pregare insieme” ai non cattolici perché considerati “eretici”, tuttavia durante l’assemblea conciliare essa non solo si convertì alla preghiera insieme, ma purificò la sua idea di unità:

non più intesa come “ritorno a Roma”, ma conversione alla volontà di Gesù Cristo.

Se le Chiese hanno sempre acconsentito a pregare per l’unità, hanno però fatto (e fanno) fatica a discernere percorsi di unità. In questi ultimi decenni gli scambi ecumenici hanno molto incoraggiato e promosso il reciproco rispetto fra le Chiese e i loro membri.

Si ricorda proprio in questo mese il 50° anniversario dello storico incontro fra Paolo VI e il patriarca Athenagoras (Gerusalemme 5 gennaio 1964). Nondimeno “restano delle differenze su alcune questioni fondamentali e la necessità di affrontarle insieme”, come segnala l’ultimo importante testo ecumenico della commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec): La Chiesa: verso una visione comune (2012).

Per cui i cristiani devono continuare a chiedersi qual è la volontà di Dio circa l’unità e che cosa fare per raggiungerla.

Tutte le Chiese membro del Cec si sono impegnate a rispondere a queste domande. Lo farà anche la Chiesa cattolica, che partecipa attivamente alla commissione Fede e costituzione, pur non facendo parte del Cec. A spingere i cristiani “verso una visione comune” non è solo una ragione teologica,  che rinvia alla preghiera di Gesù che “tutti siano una cosa sola”, ma anche una ragione missionaria, intimamente legata alla credibilità dell’annuncio cristiano, data la gravità dello scandalo della divisione, soprattutto in paesi già lacerati dalla violenza dove, secondo papa Francesco,

“i segni di divisione tra cristiani […] aggiungono altra violenza da parte di coloro che dovrebbero essere un attivo fermento di pace” (Evangelii gaudium 246).

Per ovviare a questa controtestimonianza, è urgente fare passi concreti verso l’unità: “Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come dono per noi. […] Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene” (Evangelii gaudium 246).

In altre parole, non si darà vera riforma della Chiesa cattolica, sembra avvertire il papa, senza impegno ecumenico. Lo ribadisce anche nell’intervista concessa a Andrea Tornielli (La stampa 15 dicembre 2013), dove sostiene che oggi spinge all’unità anche l’ecumenismo del sangue: “In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo”.

Se non bastano la preghiera insieme e il dialogo teologico a indurci alla riforma ecumenica della Chiesa, lasciamoci almeno ispirare dal sangue mischiato dei martiri.



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