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NON HO TROVATO LA BELLEZZA DEL BANGLADESH

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Abbiamo ricevuto una “tirata d’orecchi” da Alessandra Zanin, che, pur apprezzando il Dossier sui 50 anni del Bangladesh, lamenta l’assenza di un cenno alla bellezza del paese, per far conoscere la quale si è dato molto da fare – con un meritato riconoscimento anche del governo locale –, lo zio p. Marino Rigon (1925-2017). A onor del vero, la rivista si è occupata più volte della cultura del Bangladesh. Basti citare, per esempio, dello stesso Rigon, “L’umanesimo di Tagore e di Lalon, via al dialogo” (febbraio 2009, pp. 13-16), e di Marcello Storgato, “Bangladesh. Marino Rigon resterà sempre con noi” (novembre-dicembre 2018, pp. 52-54), in occasione del rimpatrio del suo corpo a Shelabunia. In ogni modo, grazie ad Alessandra perché ci ha ricordato un punto discriminante per conoscere un paese: la sua bellezza, non solo le sue contraddizioni.  

NON HO TROVATO LA BELLEZZA DEL BANGLADESH
ALESSANDRA ZANIN
VILLAVERLA (VI) 

Ho letto con interesse il dossier: “50 years of Bangladesh. Bangladesh Liberazione incompiuta?” (6/2021). Interessanti tutte le analisi politiche, sociali e religiose, ma non ho trovato la bellezza del Bangladesh. In occasione del primo decennale dell’indipendenza, p. Marino Rigon, missionario saveriano, ha pubblicato una raccolta di poesie di vari autori bengalesi [tra i quali G. Das, 1899-1954, e R. Tagore, 1861-1941, Premio Nobel della Letteratura 1913], che celebrano il Bangladesh, le sue bellezze naturali, la sua lingua e cultura, senza tuttavia dimenticare la sofferenza che pervade la vita di questa nazione. La raccolta nasceva dal desiderio di p. Marino di “dare occasione agli Italiani di gustare un po’ la cultura e l’arte del popolo bengalese. [...]” (cfr. Bangladesh, I.S.G., Vicenza 1981). 

I saveriani hanno fatto un importante lavoro, hanno preparato e fecondato il terreno della nascente nazione bengalese faticando e sudando “accanto ai poveri più poveri, camminando nella melma e nel fango” e portando conforto e vicinanza. «Non ci siamo inventati nulla di nuovo, abbiamo “solo” messo in pratica il Vangelo» (Professione missionario, Emi 2010). 

A p. 36 [del dossier] c’è una foto che ritrae un bel gruppo di padri, oltre a mons. Battaglierin – primo vescovo della citata diocesi di Khulna. Mi sarebbe piaciuto leggere i nomi di tutti i missionari ritratti; ognuno ha un valore per la storia del Bangladesh; avrei ricordato e letto volentieri i loro nomi e le loro storie. Pur nelle contraddizioni che questo paese ancora vive, 50 anni sono il frutto anche del grande contributo dato da ogni singolo missionario e dalla famiglia saveriana tutta. Ognuno ha lavorato seguendo la propria formazione personale, cristiana e, soprattutto, saveriana. Mons. Guido M. Conforti, fondatore della congregazione, è stato attento e sensibile anche agli aspetti culturali e artistici dei vari popoli cui erano inviati i “suoi” missionari. E questo aspetto non è da trascurare parlando di Bangladesh. 

La guerra d’indipendenza dal Pakistan del 1971, infatti, è stata una guerra a difesa della cultura di un popolo e soprattutto della lingua che a quella cultura ha dato voce. Sarebbe stato bello, dedicare all’interno del dossier, uno spazio anche alla cultura di questo paese che ci ha insegnato molto e forse ancora può insegnarci [...].

Ricordando i 50 anni del Bangladesh non si può non ricordare che p. Marino, nel 2012, ha ricevuto il “Friend of Liberation War Honour” riconosciuto quindi un eroe nazionale. Un “onore”, come cita il testo del documento ufficiale, “quale espressione di rispetto e gratitudine da parte della nazione bengalese, per il suo eccezionale contributo durante la guerra di liberazione…”.

Un onore per p. Marino, ma anche per tutta la congregazione saveriana, che nel riconoscimento di un singolo vede e vive il riconoscimento dell’impegno e dedizione a favore del Bangladesh e della sua gente, di tutti i saveriani. [...] Ho imparato ad amare il Bangladesh fin da piccola, i miei genitori e tutta la grande famiglia allargata dei Rigon, mi hanno insegnato a vedere la bellezza dentro la povertà e che l’arte in tutte le sue espressioni – letteratura, danza, musica, pittura, ricamo, architettura – è vita. Un cordiale saluto, eDhonnobad



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